Si annuncia come un consiglio europeo particolarmente difficile quello che si aprirà domani a Bruxelles. I 28 leader arrivano infatti alla riunione divisi tra di loro sull’atteggiamento da tenere nei confronti della Turchia e su come riformare il regolamento di Dublino. Due temi delicati – come ha voluto sottolineare ieri la cancelliera Merkel – sui quali si gioca «il consolidamento delle nostra politica sulle migrazioni e dei partenariati sulle migrazioni anche con i paesi dell’Africa». Una preoccupazione non certo disinteressata. Sotto pressione per le elezioni politiche del prossimo autunno, la Merkel spinge per arrivare al più presto alla realizzazione con i paesi di origine e di transito dei migranti di accordi simili a quello siglato a marzo con la Turchia (una prima intesa è già stata firmata con il Mali). Accordi che possano mettere fine agli sbarchi in Europa, tranquillizzando così l’elettorato tedesco.

PROPRIO il tanto criticato patto con Ankara è però uno dei nodi più difficili che i 28 capi di stato e di governo dovranno sciogliere. L’accordo è stato oggetto di una discussione definita «accesa» da fonti diplomatiche avuta ieri a Bruxelles durante il Consiglio degli affari generali preparatorio del vertice. La riunione sarebbe dovuta servire a mettere a punto la bozza di documento finale del summit di domani e venerdì, ma l’intesa è saltata per l’opposizione dell’Austria che ha chiesto ancora una volta di ufficializzare nero su bianco il congelamento dei negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea. Una richiesta che si è scontrata con il parere contrario di praticamente tutti gli altri paesi. Il ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz ha quindi deciso di non dare il consenso alle conclusioni sui processi di allargamento. Uno stop che non riguarda solo la Turchia ma che coinvolge anche Montenegro e Serbia.
All’origine del rifiuto di Vienna (oltre ai soliti motivi elettorali per possibili elezioni anticipate a primavera) la forte repressione in corso in Turchia da dopo i fallito golpe di luglio e sulla quale gli altri leader – terrorizzati dalla prospettiva Erdogan possa aprire le frontiere ai profughi siriani, sembrano essere più disponibili a mediare. Germania e Italia compresi. «Siamo per mantenere l’accordo con la Turchia e vogliamo anche sostenere la Grecia per accelerare l’applicazione dei meccanismi di rimpatrio», ha spiegato sempre ieri la Merkel. Nella bozza di documento è prevista invece la possibilità (per la verità abbastanza improbabile) di offrire rimpatri volontari ai migranti «bloccati» in Libia.

ALTRO tema caldo è la riforma del sistema di asilo europeo e i meccanismi di ricollocamento dei richiedenti asilo in Europa. Parlando ieri alla Camera per il voto di fiducia, il premier Paolo Gentiloni ha ribadito l’intenzione dell’Italia di andare allo scontro, se necessario. «Non è accettabile, e ancor meno lo sarebbe nel quadro di un’ipotetica riforma di Dublino – ha detto – che passi il principio di un’Europa troppo severa su alcuni aspetti delle politiche di austerity e troppo tollerante nei confronti di paesi che non accettano di assumere responsabilità comuni sui temi dell’immigrazione». Riferimento diretto a chi, come il gruppo di Visegrad ma non solo, rifiuta categoricamente di accogliere migranti. Senza contare che la riforma di Dublino alla quale sta lavorando la presidenza di turno slovacca punta di fatto a lasciare tutto immutato, continuando a considerare il paese di primo sbarco responsabile della richiesta di asilo del migrante.

Gli altri temi sul tavolo riguardano l’accordo di associazione con l’Ucraina che porti alla sua ratifica – già bocciata dall’Olanda – la sicurezza delle frontiere attraverso il controllo dei viaggiatori che entrano in Europa e il rafforzamento della legislazione sul possesso di armi.