Nell’’ultima inquadratura Malony, il protagonista, si lascia alle spalle (forse) per sempre il palazzo di giustizia che è stato la sua vera casa, e una vita che in appena sedici anni si è già affollata di file giudiziari, processi, tribunali, giudici e avvocati. Non è andato a scuola, sa scrivere appena, le sue esplosioni furiose di sentimenti negati lo hanno sempre mandato fuori controllo.Ma ora è accaduto qualcosa di importante: come una Madonna Malony avanza sulla «retta via» stringendo tra le braccia un neonato, suo figlio, e la responsabilità di padre, genitore all’’improvviso cancella la violenza, i furti, la passione insana per le automobili che ruba e lancia a velocità massima.

La colpa del destino di Malony è come sempre la madre, puttana e tossica la sua (Sara Forestier) molto «alla» Ellroy, che a sei anni lo ha buttato in una casa famiglia dandogli un pizzicotto sul naso perché non sopportava la sua vivacità distruttiva. E poi ha continuato a mischiare un caos di amore e rifiuto inseguendo i suoi uomini davanti ai quali quei figli – ne ha anche uno più piccolino – diventano un peso da scrollarsi di dosso.

Per fortuna c’era il giudice minorile, Catherine Deneuve molto dentro la parte, che ha fatto da madre a Malony, lo ha visto crescere dentro e fuori dagli istituti insegnandogli a placare il furore cieco. Poi c’è quella ragazza, è la figlia di una delle educatrici della casa di pena per minori, ha la stessa sua rabbia, anche lei contro sua madre, box e capelli cortissimi da maschio, ma quando lo bacia è con tenerezza. Fanno l’amore e lei rimane incinta, il 23 dicembre, Gesù redentore di una vita predestinata allo sfascio, la serenità che a Malony fa sconfiggere i fantasmi.

Film di apertura allo scorso Festival di Cannes, La Tete haute – A testa alta – firmato dalla regista, sceneggiatrice e attrice (Palma d’oro per Mon roi) Emmanuelle Bercot è un film che celebra al meglio i valori della Francia repubblicana, messi radicalmente in crisi in questi giorni: giustizia, educazione, responsabilità occuparsi dei propri giovani in senso lato per evitare di trovarsi all’improvviso dei delinquenti o, appunto, potenziali terroristi (non a caso nei molti istituti correzionali a cui Malony viene assegnato è spesso l’unico «francese» non nero o arabo e per questo accusato dagli altri di beneficiare di maggiori indulgenze). Diciamo il sentimento (reazionario) «giusto» delle unità nazionali: polizia, prigione che a piccole dosi fa anche bene per imparare i veri valori della vita. E famiglia naturalmente compreso un violento attacco all’aborto che i figli fanno solo bene pure se non hai lavoro e hai ancora molti problemi aperti.

Il film ci crede «davvero» anche perché nonostante il riferimento esplicito al cinema dei fratelli Dardenne, Bercot non lavora come i due registi belgi sulle nuance ma illustra la sceneggiatura in modo meccanico e artificioso, senza aprire nella sua narrazione alcun margine di ambiguità. E non respira neppure della critica alla Loach a proposito di madri borderline e istituzioni. Siamo più dalle parti di certa fiction tv, Bach dispiegato a profusione in ogni scena madre i personaggi vengono utilizzati come dimostrazioni di una tesi: da una parte l’’ambiente borderline del ragazzo Malony – attore intenso, il giovanissimo Rod Paradot – dall’altra le istituzioni comprensive, illuminate, che vanno in crisi quando sbagliano anche se, ovviamente, il solo a picchiare Malony sarà il suo tutore – Benoit Magimel – che viene dallo stesso mondo, redento a sua volta da giudici e carcere.

Tutto è molto chiaro, netto, esattamente come ci si aspetta, rassicurante nel celebrare (con molta convinzione) la fiducia alle istituzioni di cui c’’è molto bisogno (qualcosa si è rotto radicalmente ma non nella visione di Bercot). Che poi ci sia altro, che poi i figli come dice il personaggio di Magimel non possono essere una soluzione né un progetto, che tutti sono buonissimi dalla parte delle istituzioni – salvo una preside che non prende Malony a scuola e il procuratore che spinge per la prigione ma forse aveva ragione lui visto che al ragazzo giova – non conta. Il film non interroga né si interroga. Svolge la funzione: rappresentare una parabola «educativa» perfetta.