Il primo a ruggire è Matteo Salvini. Chiede le dimissioni di Renzi, e sin qui stiamo all’ovvio, ma aggiunge che “in un Paese normale gli elettori dovrebbero tornare al voto nei prossimi minuti, senza governicchi”. Segue a ruota Brunetta, che quanto a ruggiti regge bene il confronto. Lui però le elezioni non le chiede. Si limita a reclamare una testa che di fatto è già rotolata.

Spunta così, a urne chiuse da appena pochi minuti, la divaricazione all’interno della destra che sinora, per esigenze referendarie, era rimasta sotto pelle. Non si tratta solo di una distanza tattica sull’opportunità o meno di votare subito, opzione messa fuori gioco dallo stato delle cose, al secolo dall’assenza di leggi elettorali sia per la Camera che per il Senato. La sceneggiata maschera impostazioni strategiche contrapposte. Da una parte Salvini e Meloni, i lepenisti in salsa italica, decisi a cavalcare l’onda anti-sistema che s’impone un po’ ovunque. Dall’altra un Silvio Berlusconi che scommette a sorpresa sulla carta opposta, quella della mediazione e della rassicurazione, e veste i panni del solo leader che, a fronte della lacerazione che spacca il Paese, può incarnare il punto di mediazione e ragionevolezza. Determinato ma senza cedere alle intemperanze di Matteo e Giorgia. Nonno Libero, insomma.

Anche per questo, a botta calda, Berlusconi ha scelto il silenzio. Parlerà oggi, ma subito dopo i primi exit poll ha chiamato al telefono tutti gli azzurri con appuntamenti televisivi per la notte o per oggi e ha dettato la linea punto per punto. Forza Italia non chiede solo le dimissioni ma insiste sull’impossibilità di un reincarico. «Renzi – ha spiegato ai suoi l’ex Cavaliere – aveva detto che avrebbe lasciato addirittura la politica. Se vuole restare segretario del Pd sono faccende loro e noi non ce ne impicciamo. Ma l’idea che torni a palazzo Chigi dopo essere stato bocciato così dal popolo non esiste».

Secondo: Fi non entrerà a far parte di nessun governo né di alcuna maggioranza parlamentare. Insiste invece perché si apra subito un tavolo con tutte le forze politiche sulla legge elettorale. Anche se formalmente l’Italicum non era oggetto del referendum, è evidente che la riforma costituzionale e quella legge elettorale erano indissolubilmente legate. La proposta di Silvio il Redivivo sarà una legge proporzionale ma con correttivi da definire. L’obiettivo di fondo, però, Berlusconi l’ex maggioritario lo ha illustrato con precisione massima: “La maggioranza parlamentare deve rispecchiare quella effettiva espressa dell’elettorato”. Quella legge non può però essere il Consultellum perché “presenta tutti i limiti e le distorsioni del proporzionale, che vanno invece corrette».

Infine Berlusconi vuole fare dei suoi quattro punti di riforma costituzionale, a partire dall’elezione diretta del presidente, dal vincolo di mandato e dal tetto fiscale in Costituzione, un cavallo di battaglia. Non che esista la più pallida possibilità di mettere di nuovo mano alla Carta in questa legislatura. La campagna serve a dimostrare che essere stati per il No stavolta non comporta alcun immobilismo, ma anche, e anzi soprattutto, serve a fare proprio di Berlusconi il perno di una ripresa di dialogo.

Giorgia Meloni, per FdI, prende di mira direttamente Mattarella: «Questo risultato è un messaggio per Renzi ma anche per il capo dello Stato: gli italiani vogliono scegliere un governo che faccia gli interessi di tutti». Anche per lei, sia pure in forma meno esplicita, le elezioni subito sarebbero la via maestra.

Non sarà accontentata e nei prossimi mesi la partita nel centrodestra sarà tesa e incerta. Ma è un fatto che dalla campagna referendaria a uscire rafforzato, a destra, è un solo: Silvio Berlusconi.