Tra i lavori selezionati per la rassegna Critofilm – Cinema che pensa il cinema della 52° mostra del cinema di Pesaro, La Ciudad de los signos (La città dei segni) di Samuel Alarcòn spicca per l’originalità dell’utilizzo degli elementi narrativi in questo genere e soprattutto per l’analisi attenta del lavoro e degli elementi registici di Rossellini. In un’atmosfera surreale e misteriosa lo spettatore è introdotto e accompagnato negli spazi e nei percorsi mentali del regista neorealista alla ricerca dei fantasmi dei suoi personaggi ancora presenti e legati indissolubilmente ai luoghi dei film.

Come nasce l’idea del tuo Critofilm?

All’inizio volevo realizzare un film intorno ai registi italiani che amo di più degli anni 40 e 50 battezzati come neorealisti. La cosa importante, anche se sembra evidente, e che questi registi hanno rinunciato a girare negli studi di Cinecittà per ritrovarsi nelle strade, nelle piazze, tra i palazzi, in modo che il loro materiale di lavoro diventasse la città. Quindi per me era molto emozionante trovare questi posti e capire come questi registi hanno lavorato sullo spazio e sui percorsi dei personaggi.

Il tuo film è incentrato sull’opera di Rossellini, che cosa cercavi nel suo lavoro?

Se guardiamo alla politica degli autori, Rossellini è il capitano del Neorealismo, insieme a De Sica e Visconti, e con il suo film Roma città aperta racconta ciò che non è mai stato raccontato ricostruendo i giorni dell’occupazione e non solo le conseguenze. Rossellini è sempre un passo avanti a tutti e questo lo vediamo anche negli anni 50 quando inizia a fare dei film più metafisici, un cinema moderno. Il movimento dei personaggi , infatti, sono inizialmente orizzontali, tentando di fuggire dall’incomprensione della gente, per poi contrapporsi, senza ellissi, alla verticalità dello spazio approfittando del simbolismo dei luoghi. Ho scelto lui perché mi sembra la guida del cinema Neorealista, adatta ad accompagnarci in queste città dei segni.

Quanto tempo hai impiegato per realizzare il tuo lavoro? E quali difficoltà hai incontrato?

Le difficoltà sono state soprattutto economiche poiché potevo usufruire solo della borsa di studio e dell’auto-produzione. Quindi i tempi sono stati molto lunghi: nell’autunno del 2006 sono arrivato a Roma ed ho iniziato subito a lavorare cercando i film che utilizzavano meglio la città. Dalla primavera del 2007 con un equipe molto piccola ho iniziato a cercare e a riprendere i luoghi dove sono stati girati questi film. Quando ho finito la mia borsa di studio sono tornato in Spagna dove ho iniziato il montaggio e poi la post produzione che è durata un anno e mezzo, fino alla prima che è stata nel 2009.

Come nasce la cornice che introduce il film in un atmosfera di mistero?

Quando ho lavorato alla sovrapposizioni delle immagini mi sono accorto che proprio quello che mancava erano gli attori, i corpi nello spazio. Noi sappiamo con esattezza dai film che gli attori sono stati in quel punto preciso… ma perché non pensare che loro sono ancora lì? Ho costruito un personaggio che per sbaglio trova e registra le battute di un film, utilizzando la figura di mio padre che registrava psicofonie. In questo modo sono passato dalla banda sonora a quella delle immagini trovando un espediente narrativo per il film.

Stai lavorando in questo periodo ad un nuovo lavoro?

Si, voglio realizzare un video saggio sulla fotografia e sull’arte del IX secolo a Madrid, attraverso la storia della testa scomparsa di Goya. In questo caso stiamo aspettando i finanziamenti anche per avere una distribuzione.