Mamma Roma e i suoi quartieri. Poi ci sono i figliastri venuti male, quelli che l’urbanista Paolo Berdini chiama le «periferie lontane»: quartieri costruiti a grande distanza dal centro storico ma lontani anche dai quartieri limitrofi al centro della città. Pasolini li definiva «campi di concentramento per poveri» voluti dal regime fascista. A Mussolini interessava emarginare, segregare e allontanare gli strati più poveri dalla città. Inoltre, costruendo nuovi quartieri a grande distanza dal centro si generava una forte attività speculativa: con i soldi pubblici bisognava creare le urbanizzazioni per collegare l’urbe e i nuovi quartieri. Acquisivano un importante valore economico tutte quelle “terre di mezzo” della potente proprietà fondiaria che andava a braccetto con il fascismo.

San Basilio – quartiere nordorientale della capitale – fu una delle prime borgate a nascere negli anni’30. Uno dei primi luoghi dove numerose famiglie provenienti dal centro e che si sostentavano con artigianato o piccolo commercio dovettero ricominciare una nuova vita in un posto lontano e inospitale. Chissà che non furono proprio i membri di quelle famiglie a dare origine al termine e alla figura del “coatto” romano: una persona rozza, volgare, maleducata. «Coatto» letteralmente significa “forzato”, come fu forzata quella massa di persone ad allontanarsi dal centro storico per lasciare spazio a grandi viali per sfarzose e imponenti parate.

Un territorio problematico

Quartiere povero e degradato, anche dopo il fascismo San Basilio è rimasto un territorio problematico, abitato per lo più da famiglie proletarie. Sporadici e discontinui interventi delle amministrazioni comunali non hanno potuto nemmeno affrontare la ghettizzazione della periferia; una costante visione classista della città ha provocato nel corso dei decenni forti tensioni sociali.

Proprio San Basilio negli anni settanta fu lo scenario di una tra le più grandi lotte sociali per il diritto alla casa. Diverse famiglie di baraccati e di operai, che non vedevano più nel Partito Comunista un rappresentante dei propri interessi di classe e organizzati nel Comitato di Lotta per la Casa, occuparono numerose abitazioni nel quartiere. L’8 settembre 1974 il diciannovenne Fabrizio Ceruso – militante dell’Autonomia Operaia di Tivoli – rimase ucciso da una pallottola sparata dalla Polizia che tentava di sgomberare gli stabili occupati a San Basilio. La morte di quel giovane provocò la rabbia popolare e diversi poliziotti furono feriti; le barricate popolari di operai e militanti accorsi da tutta Roma difesero la roccaforte delle occupazioni, scrivendo un pezzettino di storia ribelle della città. Gli universitari, amici, compagni di Fabrizio e studiosi d’arte impressero su una targa l’immagine del giovane di Tivoli con le braccia alzate e la fissarono tra l’aperta campagna e le case di quell’estrema periferia est di Roma.

Sconnessione strutturale

La situazione oggi è profondamente cambiata ma tutt’altro che migliorata. Il processo di urbanizzazione a Roma si è evoluto in modo completamente autonomo dallo sviluppo economico della città; in particolare San Basilio è il chiaro esempio di come vi sia una «sconnessione strutturale permanente» di alcuni quartieri della città dall’economia formale, o meglio legale. Borgate come questa sono quindi diventate centro di spaccio e di attività criminali; spesso – molto spesso – l’unica inclusione sociale offerta ai giovani di periferia è un’inclusione al consumo, che evidentemente non combatte la povertà, (semmai ne muta le forme) ed è funzionale solamente alle forme che assume l’accumulazione capitalista nella città. Lo Stato, dopo aver promosso l’isolamento, appare solo nelle rozze sembianze della militarizzazione, del controllo ossessivo ed escludente; sembra di vivere in uno “stato d’eccezione permanente”.

Negli ultimi tempi l’opinione pubblica ha improvvisamente voltato lo sguardo verso San Basilio: un omicidio e l’aggressione di alcune ambulanze hanno chiamato l’attenzione di vari giornali e televisioni, preoccupati che quella violenza contagiasse tutta la città. Qualche giorno dopo tutto svanito; non sono contagiosi il degrado quotidiano, la mancanza di lavoro e prospettive, la povertà dilagante. San Basilio è uno dei quartieri più stigmatizzati, ma la diffidenza verso questi territori non si trasforma mai in necessità di comprendere le cause della loro condizione.

Le periferie urbane come San Basilio sono tragicamente vittima dell’ineludibile logoramento del mercato capitalista, esposte alla violenza, al consumismo e all’individualismo, spazi dove può regnare la criminalità e il narcotraffico. Qui il fallimento del modello neoliberista ha provocato effetti drammatici: scompaiono le politiche di welfare – che “controllano e ovattano” le disuguaglianze sociali – e si fanno più tragiche le condizioni di vita.

L’aumento delle varie tasse per il centro storico voluto dalla giunta Marino nel recente decreto «Salva Roma» – che può essere letto come un tentativo di far pagare di più a chi più possiede – nasconde in realtà la persistente visione classista della città: si continua a garantire l’accessibilità al centro solo alle classi ricche e ai turisti facoltosi, mentre nelle «periferie lontane» schiere di palazzi rinchiudono tra mura di cemento giovani boccheggianti in cerca di ossigeno. «Mentre Roma bella ci indica una stella, noi restiamo al pianoterra senza un piano di riserva», dice una canzone dei Pugni In Tasca, un gruppo che canta l’esistenza dei giovani nelle periferie romane.

Integrazione sociale e solidarietà

Contro il processo di decomposizione sociale che soffrono gli abitanti del quartiere, si stanno mobilitando diversi movimenti politici e sociali. Infatti, grazie alla laboriosa attività di realtà territoriali – tra cui il Casale Alba 2 del Parco d’Aguzzano, l’associazione d’inquilini ed abitanti (ASIA) di San Basilio e le famiglie degli stabili occupati – negli ultimi mesi il quartiere ha ospitato diverse iniziative e dibattiti. Al centro c’è la necessità di ricostruire una comunità basata sull’integrazione sociale e la solidarietà.

Da dove cominciare, o meglio ricominciare? Dalle lotte sociali che negli anni ‘70 diedero casa a San Basilio a numerosi nuclei famigliari. Dall’analisi di un periodo storico in cui il quartiere fu roccaforte delle conquiste popolari e spazio di resistenza al piano di città disegnato dal potere economico, che ancora oggi comanda Roma.

Pochi giorni fa, il quarantesimo anniversario della morte di Fabrizio Ceruso è stato ricordato con alcuni concerti e con un murales di Blu, pseudonimo dell’artista italiano che nel 2011 fu nominato dal più antico giornale domenicale del mondo – il britannico The Observer – tra i migliori dieci street artists in circolazione. In una assolata giornata romana, Blu ha finito di dipingere un Santo – appunto Basilio – sulla facciata di un palazzo di tre piani. Capannelle di anziani, girotondi di bambini giocosi e giovani del quartiere hanno fatto compagnia all’artista. Su uno sfondo celestiale, il Santo s’innalza imponente e mentre con una mano protegge la rivolta, con l’altra frena la repressione della Polizia, trasformando i celerini in pecore e maiali. Per tutta la settimana dalle macchine in movimento si allungavano sguardi incuriositi; le volanti non si sono avvicinate e sembravano più che altro truppe d’invasione straniera. La domenica, al chiacchiericcio degli attenti osservatori e dei vicini improvvisatisi critici d’arte, si sono aggiunte le grida provenienti dal vicino campetto di calcio: la squadra di casa è arrivata in finale del primo memorial «Fabrizio Ceruso».

«Nel corso degli anni il disegno di sfruttamento di questa come di altre borgate si è purtroppo evoluto e radicato, anestetizzando l’ anima popolare che le ha sempre contraddistinte – si legge sulla pagina dell’evento (www.progettosanbasilo.org) – partendo dall’esperienza di Fabrizio e della rivolta del ’74, la memoria di quelle giornate può essere importante come interpretazione e organizzazione di una comunità di fronte a bisogni, problemi e contraddizioni più che mai attuali come l’emergenza abitativa, il lavoro, la cementificazione».

Il seme di un’altra società

L’esperienza delle lotte sociali negli anni ’70 a San Basilio ha dimostrato che quando la popolazione dei quartieri poveri si fa soggetto di lotte può cambiare i rapporti di forza, anche storicamente consolidati. La lotta per la casa e per costruire un modello di città opposto a quello disegnato dal latifondo economico – basato sull’integrazione, l’uguaglianza, la reciprocità e lo scambio – è il proseguimento in ambito urbano delle vecchie battaglie contro i latifondisti agricoli dei contadini senza terra nel mondo rurale. Nelle periferie urbane, dove sono più forti il disagio e l’emarginazione sociale, è fertile il terreno per far germogliare i semi di un’altra società possibile.

Le critiche piovute sul murales – che hanno portato alla censura e, nottetempo, alla rimozione della parte in cui i poliziotti hanno sembianze di animali – sono strumentali a fare del perbenismo un’arma per la conservazione dello status quo. Con la sua opera provocatrice, Blu ha voluto dedicare al quartiere un San Basilio mistico che non solo ricorda al quartiere la rivolta del ’74 e la storia di Fabrizio Ceruso, ma benedice le ribellioni organizzate nei quartieri popolari e condanna le ingiustizie d’ogni tempo e latitudine.