“Un buon animo ripara qualsiasi male”. Chissà cosa voleva dire esattamente il candidato a presiedere il governo spagnolo Pedro Sánchez citando Cervantes la sera che il re gli ha dato l’incarico per formare un governo.

Fatto sta che lo aspettano delle lunghe negoziazioni per poter riuscire a mettere insieme i molti pezzi del puzzle fino a superare lo scoglio dell’investitura, e nessuno scommetterebbe su quanto “buon animo” gli ci vorrà. In prima convocazione la costituzione esige la maggioranza assoluta dei voti del Congresso e in seconda convocazione, 48 ore dopo, basta una maggioranza semplice. Sánchez ha chiesto al presidente del Congresso Patxi López almeno un mese, ma Pp e Podemos vogliono stringere i tempi: chiedono che a metà febbraio venga convocata la prima sessione, momento a partire del quale inizia il conto alla rovescia. Se dopo 60 giorni ancora non c’è un governo, scattano le elezioni.

Anche se è inedito, sembra proprio che, investitura a parte, Patxi López abbia comunque intenzione di far iniziare i lavori del parlamento anche senza un governo, come gli chiedono tutti i partiti tranne i popolari.

Una volta stabilite le squadre dei vari partiti per i negoziati, Sánchez ieri ha iniziato a parlare coi più piccoli, fra cui Izquierda Unida, che Podemos vorrebbe come terzo partner di governo – ma i tre da soli non bastano se tutti gli altri votassero contro. Ci vorrebbe almeno l’astensione di altri due “piccoli”. Oggi vedrà Albert Rivera di Ciudadanos e lascia che Podemos bolla nel suo brodo fino a venerdì.

È chiaro che l’atteggiamento proattivo, che molti considerano “aggressivo”, del partito viola innervosisce i socialisti. Intanto i popolari, invece di riparare i danni delle bombe giudiziarie che gli continuano a esplodere in casa (ieri c’è stata un’udienza di un processo in cui il Pp è sul banco degli accusati come partito per aver distrutto i computer dell’ex tesoriere Bárcenas), si impegna a lanciare segnali inquietanti per destabilizzare il già piuttosto conservatore establishment socialista. Ieri è stato il turno del ministro degli esteri José Manuel García-Margallo, che ha raccontato alla stampa di aver avvertito i 66 colleghi esteri della coalizione anti-Isis riunita a Roma del pericolo che la Spagna abbandoni la guerra antiterrorismo se i socialisti governassero con Podemos.

E sembra proprio che il cammino di Pedro Sánchez sarà lastricato da avvertimenti come questo, da Pp, Ciudadanos e anche da molti dei suoi “baroni”.

Come se non bastassero tutte le pressioni politiche, in Catalogna Junts pel Sí e la Cup hanno dato avvio alle procedure per preparare le tre leggi-chiave per un’eventuale Catalogna indipendente: finanza, welfare e regime giuridico. Un tema destinato a generare scintille con Madrid.

A oggi, sembra proprio che a Sánchez più che un buon animo servirà un buon miracolo per vincere la scommessa del governo. Ma ci potrebbe essere il premio di consolazione. Considerati i tempi del congresso socialista, convocato per maggio, se gioca bene le sue carte durante i negoziati potrà almeno affrontare nuove elezioni rafforzato internamente.