Nessuno se lo sarebbe aspettato quando ha annunciato la propria candidatura tra le fila dei democratici, ma Bernie Sanders, da oscuro senatore socialista del Vermont, durante questa campagna elettorale è diventato una super star.

A inizio della candidatura, nel 2015, quando aveva l’1% del sostegno ed era più o meno sbeffeggiato da tutti i media, aveva pubblicato sul suo sito l’impegnativa dichiarazione programmatica dove diceva chiaramente che «Il popolo americano deve prendere una decisione fondamentale. Continueremo il quarantennale declino della nostra classe media e il gap crescente tra i molto ricchi e chiunque altro, o lotteremo per un’agenda economica progressiva che crei posti di lavoro, aumenti gli stipendi, protegga l’ambiente e provveda assistenza sanitaria a tutti? Siamo preparati a ridurre ad affrontare l’enorme potere economico e politico della classe dei miliardari o continueremo a scivolare verso l’oligarchia economica e politica? Queste sono le più importanti questioni del nostro tempo e il modo in cui le tratteremo determinerà il futuro del nostro Paese».

IL PROGRAMMA DI SANDERS si presentava come un ritorno alla radice della democrazia americana, parlando di un Paese dove la sanità non è sempre stata privata ed in mano alla lobby delle assicurazioni e l’istruzione un privilegio per ricchi. Nel discorso inaugurale della campagna, Sanders aveva indicato i punti essenziali di questa difesa della democrazia americana, scagliandosi contro le diseguaglianza di reddito che sono aumentate nel corso dell’ultimo trentennio, contro le implicazioni di un sistema che, avendo abolito qualsiasi limite al finanziamento dei privati alle campagne elettorali, ha di fatto consegnato il potere di influire su tutte le decisioni politiche, ad una ristretta oligarchia.

Nell’America proposta da Sanders i soldi per pagare tutto ciò che prometteva voler realizzare sarebbero arrivati principalmente dalle tasse sui grandi scambi commerciali di Wall Street; il suo programma si articolava su misure classicamente keynesiane, centrate sull’adeguamento delle infrastrutture deteriorate, sull’adozione del finanziamento pubblico per le campagne elettorali e la limitazione del finanziamento privato, sull’innalzamento del salario minimo con concessione di permessi di malattia pagati e ferie garantite, sull’introduzione di un sistema fiscale progressivo, sulla riforma di Wall Street, su politiche di riconversione del sistema energetico per favorire l’uso di energie sostenibili, sull’estensione dell’assistenza sanitaria a tutti, sulla gratuità dell’accesso alle università pubbliche chiarendo puntualmente come l’intento di questi progetti radicali di riforma fosse inteso nel senso di un ristabilimento delle condizioni che hanno reso solida la democrazia americana.

UN RITORNO ALLE ORIGINI, a ciò che l’America aveva e che poi ha perso abbracciando un sistema capitalistico che l’ha impoverita, snaturata e resa infelice. La sua è stata subito una retorica capace di galvanizzare la generazione dei millennials che durante i comizi accorrevano in migliaia per ascoltare la voce rauca di questo settantenne non particolarmente avvenente ed ammiccante che però parlava di concetti inauditi ed affascinanti come rispetto reciproco ed eguaglianza economica e sociale: «È ora che milioni di famiglie di lavoratori si uniscano per ridare vita alla democrazia americana, eliminare i privilegi delle oligarchie economico-finanziarie, fermare il collasso della classe media, garantire ai propri figli e nipoti benessere, salute, sicurezza e felicità. Gli Stati uniti devono tornare a guidare la lotta per la giustizia economica e sociale, per la sicurezza ambientale e per la pace globale». E i millennials non sono stati solo i supporter di Sanders, ma anche il suo staff.

TUTTA LA CAMPAGNA di comunicazione di Sanders, a partire dalle location dove si era insediata, è stata gestita da Occupy Wall Street, a cui si deve lo slogan #FeelTheBern, la gestione e l’uso degli account social, l’idea di usare come sua canzone simbolo durante i comizi «Starman» di David Bowie.
Questo impatto, anche solo visivamente, è stato fortissimo, perché sul palco ad essere accolto da un’ovazione di ventenni, non c’era il giovane e prestante avvocato nero di Chicago, ma un settantenne piccolino che snocciolava teorie complesse per portare l’America ad una rivoluzione politica, che quella generazione ha abbracciato con entusiasmo. Come gli ha detto l’ ex segretario del lavoro di Bill Clinton, Robert Reich «Il tuo coraggio nell’attaccare l’establishment politico ha rincuorato milioni di americani, dandoci la forza di alzarci affinché le nostre domande venissero ascoltate».

SANDERS HA CONTINUATO la campagna elettorale fino all’ultimo, quando era ormai certo che non avrebbe preso la nomination per i democratici, portando avanti il suo programma di rivoluzione politica fino alla convention, dove molti dei temi discussi, come il salario minimo di 15 dollari all’ora, la tassa su Wall Street, il clima, la sanità pubblica per tutti, l’educazione universitaria gratuita, sono stati gli stessi della sua campagna, portando alla fine i democratici ad impegnarsi ed a a firmare la piattaforma più a sinistra di sempre.
Il suo potere politico a quel punto era talmente forte da essere in grado di scegliere cinque persone, un terzo del comitato, per scrivere la Democratic National Platform: il musulmano Keith Ellison del Minnesota, l’autore e ambientalista Bill McKibben, l’attivista nativa americana Deborah Parker; l’intellettuale radicale nero Cornel West e James Zogby, a capo dell’Arab-American Institute e pro-palestinese. Ed il risultato è stato notevole.

Ma la sua influenza non è stata fondamentale «solo» in termini di piattaforma: durante la convention di Philadelphia i democratici grazie a Sanders hanno avuto un dibattito interno mai visto prima, e, tramite un messaggio diffuso da YouTube, Sanders ha anche chiarito bene a tutti come non sia finita così, ma ha specificato in che modo andrà avanti ora questa rivoluzione politica. In quell’occasione Sanders ha invitato la sua base a diventare un benefico virus per l’America, invitando i più intraprendenti ad entrare in politica cambiando il partito dall’interno, senza costruirne uno nuovo che verrebbe schiacciato dall’esistente.

ANCHE SULL’IMMIGRAZIONE, contrapponendosi a Trump contro il quale, stando ai sondaggi, avrebbe avuto un vantaggio ben più largo e solido di quello di Clinton, Sanders ha espresso posizioni solidamente americane, nel senso più antico del termine: «Siamo una nazione di immigrati – aveva detto durate uno degli innumerevoli comizi durante le primarie di New York – Sono io stesso il figlio di un immigrato. La loro storia, la mia storia, è la storia dell’America: famiglie che lavoravano duramente sono venute negli Stati Uniti per creare un futuro più luminoso ai loro figli. La storia degli immigrati è la storia dell’America, una storia radicata nella famiglia e alimentata dalla speranza. Essa continua oggi nelle famiglie in tutti gli Stati uniti».

La base di Sanders è formata per lo più da ragazzi bianchi di livello di istruzione alto, che non hanno mai conosciuto la paura del comunismo o del socialismo visti come uno spauracchio, cresciuti durante la presidenza Obama e che comprendono senza bisogno di grandi spiegazioni che «socialismo» non è un insulto, ma un’altra corrente politica, per loro completamente nuova, che forse val la pena di esplorare, visti i frutti che il capitalismo selvaggio dei loro padri ha riservato a questa generazione. Per i giovani supporter di Sanders è chiaro quello che il senatore ha spiegato sin ad inizio della campagna elettorale, durante la conferenza «Cos’è il socialismo», tenuta nel 2015 alla Georgetown University: «Bisogna ricordare che nessuno vuole che il governo si impossessi del negozio di alimentari in fondo alla strada o possegga i mezzi di produzione. La convinzione alla base di queste idee è piuttosto che la classe media e la classe lavoratrice, che producono la ricchezza di questo paese, meritino uno standard dignitoso di vita e che il loro reddito debba aumentare anziché diminuire». Concetti tanto basici quanto rivoluzionari.

MA IL SIGNIFICATO PRINCIPALE della presenza di Sanders in questa tornata elettorale va al di là del successo della sua campagna, perché l’entusiasmo che Sanders ha evocato è la prova tangibile che la politica in America non è morta e che anche nell’era della democrazia spettacolo, infestata dal cinismo dei professionisti, la passione, la militanza, le idee che veicolano concetti come solidarietà, uguaglianza giustizia sociale ed economica, hanno una possibilità.