I camici bianchi non sotterrano l’ascia di guerra, o meglio lo stetoscopio. È infatti sospeso ma non revocato lo sciopero generale che oggi e ieri avrebbe dovuto fermare ospedali e ambulatori di tutt’Italia, servizi essenziali esclusi.

Qualcosa è successo, un accordo firmato a Palazzo Chigi dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin sembra aver bloccato la deriva verso la privatizzazione delle prestazioni sanitarie tramite la lobby delle assicurazioni private e la loro cogestione della spesa, con la conseguente completa disarticolazione del sistema sanitario nazionale, complici i tagli lineari, il blocco del turn over e la tendenza delle Regioni a esternalizzare ciò che non possono pagare.

La vertenza non è risolta. Le venti sigle sindacali firmatarie della pre-intesa si mettono alla finestra, si danno tempo due mesi per verificare se gli impegni presi dalla ministra, dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio Vincenti e dalla ministra della Pubblica amministrazione Marianna Madia troveranno una concretizzazione.

Per il momento si accontentano delle dichiarazioni della ministra Lorenzin che ancora ieri alla question time del Senato ha chiarito come il governo non voglia «assolutamente andare verso la privatizzazione del sistema sanitario nazionale». L’obiettivo a suo dire è quello di mantenere un modello universale e universalistico con accesso a cure e prestazioni in modo gratuito per tutti, un modello che – ha detto – «è una ricchezza sociale per il nostro paese, ciò che ci distingue».

In effetti la classifica dell’agenzia di valutazione internazionale Bloomberg, analizzando parametri che si riferiscono però al 2013, stabilisce che il sistema sanitario italiano è terzo nel mondo per efficienza. In Europa secondo solo a quello spagnolo. La ministra ieri ricordava che, dal punto di vista dei costi, è persino migliorato visto che per la sanità l’Italia spende, parole sue, «pochissimo», appena il 6,5% del Pil.
In paesi come Regno Unito, Francia e Germania copre il 9% del Pil e verrebbe da dire che la nostra è una spesa troppo bassa, visto che secondo il sindacato dei medici di famiglia Fimmg «la sanità pubblica è al tracollo».

L’accordo della settimana scorsa prevede che la sanità diventi – non lo era finora – una «priorità» nell’agenda del governo, anche se non essendo indicate cifre del fondo o risorse aggiuntive, come segnalano i sindacati «si vedrà al prossimo Def» ad aprile.

Si prevede poi l’apertura di tavoli tecnici che dovranno vertere sul ritorno al ruolo centrale, dal punto di vista diagnostico e anche organizzativo, del medico, adesso sempre più surrogato dai nuovi profili dirigenziali degli infermieri laureati.

I sindacati hanno ottenuto che siano affrontate questioni di fondo come la riforma della formazione medica, la stabilizzazione dei precari – che vogliono però «in tempi certi» -, lo sblocco del turn over, la definizione di tipologie di lavoro flessibili «per mettere un freno al proliferare di contratti atipici» e la definizione in modo omogeneo sul territorio nazionale dei Livelli essenziali di assistenza (in sigla Lea), standard di medicina preventiva, ospedaliera e ambulatoriale definiti dal patto per la Salute Stato-Regioni.

A maggio i sindacati si danno appuntamento per una “Leopolda” della salute a Firenze.

Ieri il governatore della Toscana Enrico Rossi ha attaccato l’intramoenia che a suo avviso «favorisce la corruzione». Per lui «abolendo la libera professione medica intramoenia d’incanto spariranno le liste d’attesa». r. g.