Il presidente colombiano, Manuel Santos, è a Oslo (in Norvegia) per ritirare il Nobel per la Pace. Lo ha ricevuto per aver portato a termine le trattative con la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc) per dare soluzione politica a oltre 50 anni di conflitto armato. Con lui una delegazione di 30 persone, tra cui i mediatori del governo e l’ex deputata Ingrid Betancour, a lungo prigioniera delle Farc. Assenti le figure che hanno messo in moto la mediazione dal lato delle organizzazioni popolari, come la senatrice Piedad Cordoba. Il senatore della sinistra, Ivan Cepeda, è stato invitato, ma ha declinato l’invito. Assenti, soprattutto, i guerriglieri che hanno firmato gli accordi di pace, in base ai quali dovrebbero iniziare la smobilitazione verso le zone deputate ad accoglierli prima del rientro nella vita politica.

La questione, però, è ancora in salita. Benché non fosse necessario, Santos ha deciso di sottoporre a referendum gli accordi dell’Avana, che sono stati bocciati, seppur di strettissima misura. Poi è stato approvato un altro negoziato-lampo, che ha però rimesso in gioco le forze più reazionarie capitanate dall’ex presidente Alvaro Uribe, di cui Santos è stato ministro della Difesa. Entrambe le camere hanno dato l’ok all’accordo del 24 novembre. Senza, però, il via libera della Corte Costituzionale, che dovrebbe esprimersi lunedì sulla procedura accelerata («fast track»), non potrà esserci amnistia per i guerriglieri, che risultano ancora ricercati. Nel corso di alcuni spostamenti non protetti, vi sono stati già dei morti. E ieri è stato abbattuto un comandante dell’Eln, l’altra storica guerriglia colombiana, con la quale sono in corso negoziati in Ecuador. E anche i leader sociali continuano a cadere sotto i colpi dei paramilitari (2 dirigenti indigeni uccisi in 15 giorni).

Situazione critica anche nelle carceri, dove i prigionieri politici sono tenuti in condizioni durissime. Il gruppo di avvocati Suyana ha denunciato il pestaggio di Aida Enith da parte delle guardie del penitenziario Cojam. Il governo nega lo statuto di prigionieri politici ai detenuti della guerriglia e a quelli che la sostengono. In base agli accordi sottoscritti, l’amnistia potrebbe però far uscire dal carcere circa 300 guerriglieri che non avrebbero l’obbligo di raggiungere le zone di smobilitazione. Ma tutto dipende dalla Corte e dall’approvazione della «fast track».

Le Farc hanno preferito aspettare la decisione del 12 dicembre piuttosto che accettare l’iter ordinario – foss’anche con procedura d’urgenza – della legge di amnistia: per evitare che il testo venisse snaturato. Se la Corte dà il via libera diventerà attuativo l’Acto legislativo para la Paz, che consentirà la presenza alla Camera e al Senato di 3 componenti delle Farc: che potranno seguire il procedimento, seppur senza diritto di voto. Le Farc hanno ribadito la volontà di passare alla lotta politica. Tuttavia – ha precisato Timoshenko – se le porte si chiudono «torneremo a combattere».