Come ogni anno, da settembre ripartirà in Sardegna il programma delle esercitazioni militari della Difesa e della Nato. Esiste nell’isola una struttura, il CoMiPa (Comitato misto paritetico), composta di delegati della Difesa e di membri civili nominati dal Consiglio regionale, che periodicamente si riunisce per valutare l’impatto dei giochi di guerra sul territorio, vastissimo, soggetto al controllo dei militari.

Tre giorni fa il CoMiPa si è riunito a Cagliari per valutare il «piano di attività» 2015. E i membri civili che chiedevano conto ai militari della mancata apertura a tutti delle spiagge comprese nei poligoni di Quirra e di Teulada, prevista per il primo giugno e invece rinviata, si sono sentiti rispondere dai generali: «Vi abbiamo fatto sin troppe concessioni. Potremmo anche tenere chiusi gli arenili ai bagnanti per tutta la stagione estiva». I rappresentanti della regione per protesta hanno abbandonato la riunione. Ma il loro gesto non avrà effetti. In base all’intesa tra ministero della Difesa e Regione Sardegna, il parere dei membri civili del CoMiPa è soltanto consultivo. Perciò il comitato non ha mai inciso veramente sulle attività dei militari. Che hanno sempre fatto ciò che hanno voluto, infischiandosene del CoMiPa e delle proteste della Regione. E questo sotto qualsiasi governo nazionale (funzionava così anche quando ministro della difesa era Arturo Parisi, dal 2006 al 2008 con Prodi premier) e sotto qualsiasi governo regionale (ora che a Cagliari c’è una giunta di centrosinistra presieduta da Francesco Pigliaru le cose non sono molto diverse rispetto a com’erano sino a due anni fa con il centrodestra di Ugo Cappellacci).

Probabilmente i militari non chiuderanno, come minacciato, le spiagge comprese nei poligoni – già l’altroieri da Roma sono arrivate dichiarazioni di alti funzionari della Difesa che minimizzavano lo scontro avvenuto nel CoMiPa – ma è certo che alle richieste più scomode continueranno a rispondere di no. Come hanno fatto da ultimo, poche settimane fa, di fronte alla domanda dei membri civili del Comitato misto di partecipare come osservatori alle guerre simulate che regolarmente, da settembre a febbraio, devastano la Sardegna. Sono 35mila gli ettari di territorio sotto il vincolo delle servitù militari, strutture e infrastrutture concesse in utilizzo alle forze armate italiane e all’Alleanza atlantica: poligoni missilistici (Perdasdefogu) e per esercitazioni aeree (Capo Frasca) e di terra (Capo Teulada), aeroporti (Decimomannu) e depositi di armi (La Maddalena).

Del resto, quanto sia forte il peso politico dei militari è dimostrato da un accordo recentemente siglato dal ministero della difesa con quello dell’ambiente. Il documento, firmato rispettivamente da Roberta Pinotti e Gianluca Galletti, impegna l’Ambiente a compiere verifiche sulle attività nelle basi militari italiane. Ma nello stesso tempo depotenzia questa attività di controllo concedendo deroghe alle più importanti normative nazionali in materia di inquinamento e di rischi sanitari connessi all’utilizzo di sostanze radioattive. Deroghe giustificate con il «preminente interesse nazionale» riconosciuto ai «programmi di addestramento e di mantenimento in efficienza della forse armate». La stessa solfa che da sempre i cittadini sardi si sentono ripetere quando chiedono la riduzione o la dismissione delle servitù.

E però un successo i movimenti antimilitaristi, che nelle scorse settimane hanno manifestato a Cagliari contro la ripresa dei bombardamenti e dei lanci di missili, lo hanno ottenuto: la «Trident Juncture 2015», la più grande esercitazione aeronautica Nato (ottanta velivoli e cinquemila uomini impegnati sul terreno) in programma quest’anno, originariamente prevista a Decimomannu, non si farà più nell’isola. E’ stata spostata a Trapani. «La decisione – ha fatto sapere il ministero della Difesa – è stata presa perché in Sardegna non sussistono le condizioni per operare con la serenità necessaria ad un’attività di tale complessità».

Troppe proteste, troppi pacifisti: meglio andare altrove.