Contro ogni previsione, contro ogni sondaggio, Donald Trump ha vinto la quarantacinquesima presidenza degli Stati Uniti e il suo primo giorno da presidente nominato è stato all’insegna della distensione, del ricucire i rapporti tra le due fazioni che si sono divorate a vicenda durante questa feroce campagna elettorale e che fanno entrambe parte dell’America. «È ora di unirci. L’America – ha promesso Trump dal palco – deve tornare ad essere il Paese guida del mondo in campo politico, sociale ed economico». Il discorso pacato che ha pronunciato dopo la vittoria era pieno di questa retorica dell’unione.

Trump è apparso rassicurante e non esagitato, ha detto di voler essere il presidente di tutti, ha invitato ad abbassare i toni ed ha ringraziato Hillary Clinton che gli aveva appena telefonato per congratularsi della vittoria. Così il mondo ha potuto sentire Trump spendere parole di elogio e di ammirazione per la rivale che fino a 24 ore prima voleva vedere in galera e che durante l’ultimo dibattito aveva definito una «donnaccia», nasty woman. Ma durante il suo primo discorso presidenziale ne ha elogiato il carattere e la storia, con tono pacato ed è passato, poi, a ringraziare la famiglie e la sua squadra, quella politica, che l’ha portato fin lí.

I ringraziamenti al suo team non sono stati lunghi in quanto la squadra di Trump è composta da poche persone, visto che non è un politico e che la maggior parte del partito che rappresenta ha dichiarato di non riconoscerlo come repubblicano. Ma il passaggio più importante del discorso è stato dedicato a quella parte di America che ha formato la sua base. «Sarò al servizio della gente», ha promesso, prima a voce poi dal suo account Twitter dove ha aggiunto «i dimenticati di questo Paese, da oggi non lo saranno più». Quella stessa base che poco prima aveva violentemente rumoreggiato a causa della lunga attesa prima del discorso della vittoria, per via del ritardo democratico nel riconoscere la propria sconfitta, ha accolto il proprio candidato vincente con tutta l’energia e l’entusiasmo che era capace di esprimere.

Verso le 22 ora di New York, il grido «Usa, Usa» si era iniziato a sentire nella grande sala ricevimenti dell’Hilton Midtown hotel, dove era stato allestito il palco con decine di bandiere, e se fino a poco prima un’orchestra formata da mariachi si era aggirata da quelle parti per una sarcastica serenata al tycoon in gara, a quel punto erano comparsi ispanici in giacca e completo elegante con i cartelli «latinos for Trump», seguiti poi dai «cino-americani for Trump», «le donne for Trump», «afro-americani for Trump», tutta una rappresentanza che non si era mai vista prima.

Poco dopo il discorso anche Obama ha chiamato Trump, per congratularsi e invitarlo alla Casa Bianca, giovedì, in modo da organizzare con il nuovo presidente, un passaggio di consegna che sia il più indolore possibile.

La giornata finanziaria non è andata male per il candidato vincente: tutto merito di Wall Street, che, dopo un avvio contrastato e insicuro, a dispetto ancora una volta delle previsioni degli analisti, nella tarda mattinata italiana ha accelerato, con il Dow Jones in crescita dell’1,13% e il Nasdaq in progresso dello 0,96 per cento. La performance più positiva l’ha registrata, come poteva essere prevedibile, il listino di Mosca, che ha chiuso la seduta in crescita del 2,2%. E non è certo un caso, visto le reciproche dichiarazioni di stima che il nuovo presidente Donald Trump e il presidente Vladimir Putin si sono fatti in questi mesi.Il tenuto tracollo delle borse di tutto il mondo non c’è stato.

Non poteva quindi andare in modo migliore la giornata di Trump che incassa alla fine anche i ringraziamenti di quel partito di cui fa parte ma che non l’ha sostenuto e che lo vede come un parvenu della politica e del potere, tanto che nessuno degli ex presidenti repubblicani viventi l’ha votato. Alla fine anche loro gli hanno dovuto porgere i propri onori al presidente nuovo: ha portato al Senato una maggioranza schiacciante.