Pasticciata, dalle coperture incerte, basata su una politica dei bonus e delle mance in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre. È il giudizio sul Disegno di Legge di Bilancio 2017 di Sbilanciamoci!, la rete di 47 associazioni che ieri hanno presentato la «contro-manovra» alla Camera dei Deputati. Una manovra a saldo zero e da 40,8 miliardi di euro che contiene 115 misure che vanno dal fisco al lavoro, dall’istruzione all’ambiente, dal welfare all’altra economia, passando per il taglio delle spese militari pari a 5,5 miliardi di euro.

Per gli economisti di Sbilanciamoci questa è l’alternativa alla distribuzione di prebende a ricchi, banche e imprese, i maggiori fruitori delle misure del governo che ieri ha preannunciato il veto sul bilancio europeo nel caso in cui l’Unione Europea non finanzi di più immigrazione, sicurezza, disoccupazione giovanile e ricerca. Lo scontro tra l’esecutivo e la Commissione Ue sui decimali del deficit avviene dopo avere ottenuto i 19 miliardi della «flessibilità» europea (cioè maggior deficit).

Sbilanciamoci critica questo uso del deficit che non produce crescita, ma conferma l’impostazione delle politiche di austerità. Maggior deficit significa, con le regole attuali, maggiori tagli e meno servizi. Tagli, peraltro, che non portano i risultati annunciati. Non essendo riuscito a ridurre la spesa pubblica nel 2016, come aveva promesso, per evitare lo scatto dell’aumento dell’Iva dal primo gennaio 2017, il governo è stato costretto a impiegare una cifra enorme (15,1 miliardi) per tenere a bada la tigre. Si punta, per il prossimo anno, a uno programma di privatizzazione da cui si pensa di ottenere lo 0,6% del Pil, anche in questo caso inferiore a quanto preannunciato.

L’incapacità del governo di disinnescare la mina azionata da politiche di austerità, mancata crescita e politiche delle mance produrrà conseguenze nefaste che sono note. Nella contro-manovra di Sbilanciamoci si discute di ipotesi alternative sulla crescita, tanto invocata, quanto mancante.

Il centro è una manovra fiscale per redistribuire il reddito e la ricchezza e diminuire le diseguaglianze. Le proposte porterebbero 21,5 miliardi in cassa, di cui 15,1 per neutralizzare la scatto dell’Iva, 1,4 per ripartire il carico fiscale in senso progressivo, 5 miliardi per un reddito minimo: 600 euro al mese, 7200 all’anno per un finanziamento totale di 11 miliardi all’anno per un milione e mezzo di persone. Nella manovra fiscale è previsto inoltre una riforma della tassazione Irpef che riduce di un punto le aliquote sul primo e secondo scaglione di reddito, aumenta l’aliquota dal 41 al 44% sul quarto (fino a 75 mila euro), al 47,5% sul quinto (fino ai 100 mila euro), al 51,5% oltre i 100 mila euro. Proposta, inoltre, la riduzione delle aliquote Ires per le imprese, l’abolizione delle addizionali per società di fondi di investimento, l’abolizione del super e dell’iper-ammortamento per i beni strumenti di impresa, altra misura-simbolo della manovra di Renzi e Padoan.

Ulteriori risorse per finanziare una politica sociale progressiva verrebbero da una Digital Tax per contrastare l’elusione discale delle multinazionali, dalla maggiore tassazione di beni di lusso o dannosi, dall’esclusione dall’accesso ai servizi pubblici degli evasori oltre i 50 mila euro, da una «vera» tassa sulle transazioni finanziarie. Insieme garantirebbero un gettito aggiuntivo di 4,1 miliardi di euro.

Il totale potrebbe essere usato per una «politica industriale selettiva» basata sulla ricerca pubblica, l’assunzione di 25 mila occupati nel settore hi-tech e della conoscenza, la stabilizzazione dei precari nella P.A. In solo anno, gli economisti di Sbilanciamoci ritengono possibile recuperare la metà del taglio-monstre praticato da Berlusconi e Tremonti al bilancio di scuola e università: 4,8 miliardi su 9,4 tagliati dopo il 2008. Arriverebbero risorse anche per l’assunzione di 20 mila ricercatori, l’istituzione di una no tax area per le famiglie degli studenti che dichiarano meno di 23 mila euro di Isee nel pagamento delle tasse universitarie. Prevista l’abolizione della misura propagandistica pro-referendum del «bonus cultura» per i neo-diciottenni: 290 milioni inutili invece di istituire un reddito di base, anche per loro.

Dare un taglio netto con le politiche energetiche basate sulle energie fossili, trivelle e le grandi opere, altro must renziano, e privilegiare reti ferroviare regionali, tramvie e metropolitane (si spera leggere e di superficie) da finanziare con 1.300 milioni destinati dal governo alle grandi opere.

All’ambiente e alla sostenibilità dello sviluppo la contro-manovra destina 5,8 miliardi, prevede uscite per 3,9 miliardi e prospetta il contenimento del consumo del suolo, una strategia della biodiversità e un piano per la mobilità sostenibile. Oltre a un piano pluriennale per abitazioni sociali, da finanziare con l’eliminazione della cedolare secca (1,2 miliardi), si prospetta una misura decisiva: una «pensione di cittadinanza». Sbilanciamoci la destina ai «giovani». In realtà, considerato il disastro sociale che provocherà il sistema contributivo, andrebbe prevista per tutti coloro che lavoravano già da prima del 1996, l’anno della riforma previdenziale. I costi di questa misura sarebbero sostenibile se restasse invariato – ma non è scontato – il rapporto tra la spesa pensionistica e un Pil che difficilmente registrerà le percentuali previste negli anni Novanta.