Uno scandalo di enormi proporzioni, un danno economico altrettanto grande. La Volkswagen, principale casa automobilistica tedesca ed europea, è nell’occhio di un ciclone le cui conseguenze sono ancora tutte da verificare: potenzialmente, è il «modello Germania», fatto di efficienza e rispetto delle regole, che rischia di essere compromesso. La notizia-choc è arrivata venerdì dagli Stati Uniti: l’Agenzia federale per la protezione ambientale (Epa, nella sigla in inglese) accusa l’azienda di avere sistematicamente frodato i controlli anti-inquinamento sulle macchine diesel poste in commercio in Usa, grazie a un software che manipola i dati delle emissioni. Risultato: sulle strade americane circolano vetture del gruppo Volkswagen che inquinano fino a 40 volte oltre i limiti consentiti dalla legge.

L’effetto della scoperta è devastante: non solo l’azienda tedesca dovrà ritirare dalla circolazione mezzo milione di vetture, ma rischia di dover pagare una salatissima multa di 18 miliardi di dollari. Senza contare le possibili cause di risarcimento da parte dei clienti, e i processi penali. Da far tremare le vene ai polsi anche al più freddo e cinico dei manager. I vertici della casa automobilistica, dopo un iniziale silenzio, hanno riconosciuto che l’indagine dell’Epa era fondata. Già sabato, il numero uno della Volkswagen, Martin Winterkorn, aveva promesso «massima collaborazione con le autorità americane», dicendosi «profondamente rammaricato per avere tradito la fiducia dei nostri clienti e dell’opinione pubblica». Un comunicato di scuse che non è bastato a frenare la valanga.

Con lo scorrere delle ore, in Germania i media e il mondo politico hanno progressivamente acquisito consapevolezza della portata dell’accaduto. E così, ieri lo scandalo Volkswagen ha definitivamente conquistato le aperture dei siti d’informazione e dei telegiornali, complice anche il crollo del titolo alla borsa di Francoforte: a fine giornata sarà -18,6%, pari a un valore di circa 17 miliardi di euro. Per il governo è una bruttissima gatta da pelare, perché la vicenda potrebbe essere solo agli inizi: nessuno al momento può davvero garantire che una simile frode non sia avvenuta anche sul mercato europeo. «Ora spetta alla politica indagare se cose simili non siano accadute anche nel nostro Paese, e da parte anche di altri produttori», ha dichiarato Daniel Moser di Greenpeace Germania ai microfoni del telegiornale della tv pubblica Ard. Sospetti delle associazioni ecologiste gravano anche su Daimler (cioè Mercedes) e Porsche (parte del gruppo Volkswagen).

L’esecutivo guidato da Angela Merkel ha fatto sapere che attiverà i necessari controlli: il ministro dei trasporti Alexander Dobrindt farà mettere sotto la lente dei propri funzionari i modelli incriminati. Contro il danno d’immagine, tuttavia, c’è ormai ben poco da fare. L’argomento morale brandito come una clava nelle relazioni politiche internazionali potrà ora essere agevolmente ritorto contro la classe dirigente tedesca. Se è vero che «i greci» hanno truccato in passato i loro conti pubblici, ora è altrettanto vero che «i tedeschi» truccano i numeri delle emissioni delle loro potentissime case automobilistiche in modo da assicurarsi, in modo sleale e illegale, il predominio sui mercati. E, di conseguenza, l’influenza politica. L’intera «narrazione» della cosiddetta egemonia morale della Germania crolla come un castello di carta, anche perché la Volkswagen è un’impresa che ha forti legami con il mondo politico: nata come azienda pubblica negli anni ’30, tuttora il Land della Bassa Sassonia ne conserva il 20% della proprietà. Il ministro dell’industria e vicecancelliere Sigmar Gabriel è perfettamente consapevole che nello scandalo Volkswagen in gioco c’è «il buon nome» del suo Paese, nonostante le protocollari dichiarazioni di rassicurazione: «Il concetto di made in Germany è in tutto il mondo un concetto di qualità, e perciò è necessario che si chiarisca tutto al più presto. Ma non siamo di fronte a un danno irreparabile per l’industria tedesca», ha affermato ieri in conferenza stampa.

L’azienda di Wolfsburg, una holding a cui appartengono anche marchi come Ducati e Lamborghini, impiega in tutto il mondo circa 600mila persone, metà dei quali in Germania. L’attuale dirigenza gode del sostegno del sindacato, cruciale nel sistema di relazioni industriali tedesco: nei consigli di sorveglianza siedono infatti anche i rappresentanti dei lavoratori. Se tale sostegno rimarrà, però, è tutto da vedere: ieri l’influente numero uno della Ig Metall nell’impresa, Bernd Osterloh, si è detto «scioccato» e ha chiesto che sia fatta luce fino in fondo. La poltrona del supermanager Winterkorn vacilla.

Crollo in borsa. Bloomberg: scatta l’azione penale in Usa
Crollo del 22% del titolo Volkswagen alla borsa di Francoforte. E’ il ribasso più forte mai registrato dal 2008 e le perdite degli azionisti dell’azienda di Wolfsburg sono pari a 12,9 miliardi di euro. A fine giornata le azioni ordinarie di VW hanno perso il 17,14% a 133,7 euro, mentre le privilegiate il 18,6% a 132,2 euro. Dai 76,4 miliardi di venerdì scorso la capitalizzazione di borsa è scesa a 63,33 miliardi. Secondo l’agenzia Bloomberg la violazione delle norme anti-smog sarebbe al centro di un’indagine penale negli Stati Uniti.