I giochi si fanno all’ultimo. Per due settimane ha evitato incontri ufficiali per parlare del Quirinale, facendo un’eccezione solo per Berlusconi. Ma ieri Renzi ha messo in fila tutti, per primi i grandi elettori del Pd. Poi capi e vicecapi partito, alleati certi e alleati possibili, Bersani e di nuovo Berlusconi. Che potrebbe incontrare ancora oggi, prima di riunire per l’ultima volta deputati, senatori e delegati regionali del Pd che sono in tutto 446. A loro aveva promesso di fare un nome, che oggi – due ore prima della prima votazione delle camere in seduta comune – potrebbe solo essere Sergio Mattarella. È il nome che il presidente del Consiglio ha fatto a Bersani e a Berlusconi. Per sentirsi dire di no dall’ex Cavaliere.

«Il presidente deve essere una storia raccontabile, prima di tutto al nostro interno», ha detto Renzi ai deputati Pd. Incontrati di buon mattino, ma prima c’era stato il tempo di vedere i ministri del Nuovo centrodestra, Alfano e Lupi. Poi l’incontro con i senatori, ai quali ha spiegato come «andare oltre il weekend darebbe l’idea di un paese che non sa uscire dalla palude». Ma a meno che Berlusconi non torni indietro sul suo no a Mattarella, la possibilità di eleggere il presidente al primo turno non esiste. Il giudice costituzionale – senz’altro «una storia raccontabile» – dal punto di vista renziano potrebbe avere solo questo vantaggio, un colpo a sorpresa alla prima votazione, un azzardo assoluto che però riscatterebbe il disastro di due anni fa. Viceversa, dovendo puntare alla quarta votazione, ci sono candidati più affini al «patto del Nazareno» e di certo meno problematici per Renzi di una personalità non esuberante ma autonoma come Mattarella. Solo oggi si capirà se il no di Berlusconi è superabile, se l’insistenza dell’ex Cavaliere su Casini (ricevuto ieri da Renzi a palazzo Chigi) è di bandiera oppure se Renzi avrà usato la carta Mattarella per stoppare le pretese del capo di Forza Italia e di chi con lui può trovare pericolose convergenze, come molti bersaniani e la pattuglia dalemiana sul nome di Amato. Con i suoi parlamentari Berlusconi non è apparso determinatissimo. Ha detto che «abbiamo scampato alcuni pericoli» accontentandosi dello svaporare di Prodi. E poi ha aggiunto che «insieme al Ncd possiamo contare su 150 voti determinanti», il che significa che è ben consapevole di dover fare la tara dei frondisti di Fitto, sulla carta i voti sarebbero più di 200.

Prima di sera il presidente del Consiglio ha ricevuto i rappresentanti di una parte dei fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle, titolari di 25 voti spendibili per Mattarella. E ha riunito la squadra della segreteria con la quale si consulta. Da lì è venuta fuori l’idea di accelerare le votazioni. Oggi la prima è alle 15, dunque non c’è il tempo di farne una seconda (tra la processione dei grandi elettori nelle urne, lo spoglio e la proclamazione trascorrono circa quattro ore), ma venerdì si potrebbe arrivare già in serata alla quarta, potenzialmente decisiva. Da 673 voti il quorum scenderebbe a 505 (su 1.009 grandi elettori). Se Renzi non sta bluffando con Mattarella, e se Berlusconi dovesse decidere di dare il via libera al giudice costituzionale e di farlo con un sì pronunciato ufficialmente entro oggi pomeriggio, diventerebbe insostenibile per il presidente del Consiglio proporre di votare scheda bianca per tre scrutini al solo scopo di far scendere il quorum. Perché sulla carta la convergenza di Pd, Forza Italia, Nuovo centrodestra e centristi, Sel (che a Mattarella non potrebbe dire no) ed ex grillini radunerebbe qualcosa come 850 grandi elettori. Ci sarebbero sicuramente un bel po’ di franchi tiratori, ma dovrebbero essere più di 170 per impedire l’elezione e il conseguente trionfo del premier. Renzi ostenta sicurezza ma non sembra avere intenzione di sfidarli, nemmeno a lui conviene che la nebbia si diradi del tutto prima di domani sera.