«Una coerente politica di consolidamento fiscale e di riforme per una maggiore competitività resta importante. Da parte di tutti gli stati membri sono necessari, pertanto, ulteriori sforzi, che devono essere sottoposti a verifica». È il programma per le elezioni europee dei democristiani della Cdu di Angela Merkel? No, purtroppo: è quello dei socialdemocratici della Spd, alleati del partito della cancelliera nel governo di grosse Koalition.

La citazione è tratta dalla mozione che verrà votata oggi dal congresso straordinario della Spd a Berlino: quindici pagine che contengono le linee programmatiche con le quali la formazione del vicecancelliere Sigmar Gabriel si presenterà al voto del 25 maggio per il rinnovo dell’Europarlamento. Un documento pieno di buone intenzioni e proposte sacrosante, nel nome di «un’Europa della giustizia sociale e del progresso»: più democrazia, salario minimo legale, lotta al dumping fiscale e all’abuso del lavoro interinale, impegno contro la disoccupazione e contro la privatizzazione dei beni comuni.

Il problema è che sul punto-chiave della «gestione della crisi» da parte delle istituzioni dell’Unione europea gli argomenti dei socialdemocratici tedeschi sono non molto diversi da quelli dei democristiani. In sintesi: la politica della troika non va cambiata, le «riforme» e gli «sforzi» nei «Paesi in difficoltà» devono continuare. La differenza con la Cdu si nota quando la Spd riconosce che qualche difficoltà c’è stata: «Da sola, la politica di risparmio non è un progetto di futuro», afferma la mozione. «Non si deve esigere troppo da quei Paesi», e l’austerità «va integrata con una politica per la crescita».

Siamo molto lontani dai toni decisamente più critici che si ascoltavano fino alle elezioni federali di quattro mesi fa. Evidentemente, adesso che è al governo la Spd non può permettersi di andare giù duro contro la gestione «germanocentrica» delle vicende europee da parte di Merkel: l’alleato non gradirebbe, e significherebbe contraddire un esecutivo di cui si è parte. Non a caso, nel programma che votano oggi i delegati socialdemocratici non compare il minimo riferimento a misure anticrisi come gli eurobond, notoriamente fumo negli occhi per la cancelliera.

Che il clima fra la Spd e la Cdu sia piuttosto amichevole è confermato da un importante segnale lanciato da Martin Schulz. In una recente intervista al quotidiano Süddeutsche Zeitung, il candidato dei socialisti europei alla guida della Commissione ha difeso la sua connazionale Merkel dall’accusa di essere la principale responsabile del cattivo stato dell’Ue: «A Bruxelles si riuniscono 28 capi di governo, e alla fine è sempre solo colpa di Merkel. Le principali decisioni sono all’unanimità. Non sono disposto ad accettare questi attacchi a lei, perché in realtà sono attacchi ai tedeschi».

Parole che non sono sfuggite ad Alexis Tsipras, aspirante presidente della commissione per conto della Sinistra europea, che venerdì ha duramente attaccato Schulz: «È il candidato dei socialdemocratici o quello della Cdu?», ha domandato ironicamente in un’intervista all’agenzia tedesca dpa. «Ho l’impressione – ha aggiunto il greco – che Schulz abbia reso noto il proprio desiderio di ricevere l’appoggio di Merkel per la sua investitura. Resta da capire se anche la base sociale della Spd nutra lo stesso desiderio, oppure preferisca scegliere chi come la Linke propone un contrappeso democratico all’arroganza e all’arbitrio del neoliberismo». La sfida elettorale tra Schulz e Tsipras, almeno in Germania, è cominciata.