Una torta di 15 chili e svariate bottiglie di spumante hanno accompagnato la cerimonia ufficiale di apertura della Wbo Italcables di Caivano, il primo caso di workers buy out nel settore siderurgico in Italia. La fabbrica produceva cavi e barre d’acciaio, nel 2013 era stata dichiarata fallita: assorbita nel 2008 da un gruppo portoghese, la Italcables ha finito per essere travolta dai problemi finanziari della proprietà. Due anni fa il curatore fallimentare l’ha messa in liquidazione, sarebbe stata svenduta se i lavoratori non avesser deciso di costituirsi in cooperativa e rilevarla. «Il lavoro si riprende il lavoro» ripetevano i 51 dipendenti (sui 67 rimasti nel 2013) che hanno deciso di investire nel proprio futuro a Caivano.

Per la festa hanno sistemato il tavolo dei relatori, montato un videoclip e organizzato dei turni di lavoro ferrei: da ottobre hanno ricominciato a produrre, una prima commessa è già stata inviata negli Usa e tra pochi giorni ne partirà un’altra, stessa destinazione. Le linee non si possono fermare.

A Caivano ieri c’erano i rappresentati dei soci finanziatori, a partire da Legacoop e Banca Etica, il ministro del lavoro Giuliano Poletti e l’assessore regionale Amedeo Lepore, tutti finiti nei selfie dei lavoratori e tutti portati in reverente processione a vedere le vergelle, cioè le barre di acciaio semilavorato, la materia prima da trasformare: «Quando ci sono le vergelle in fabbrica vuol dire che c’è lavoro» raccontavano gli operai. «Questi lavoratori testimoniano come lo strumento cooperativo sia utile per dare risposte concrete ai bisogni delle comunità – il commento di Poletti -, nel segno della partecipazione attiva e della responsabilità condivisa. Ma deve funzionare anche tutto intorno, a cominciare dalla logistica».

La scommessa è riprodurre il modello Wbo Italcables: in una regione a serio rischio desertificazione industriale, i circa 30mila euro di ammortizzatori sociali destinati a ciascuno dei dipendenti non sono stati spesi per accompagnarli verso la disoccupazione, ma investiti nel loro futuro.

«L’idea è affrontare altre crisi utilizzando gli strumenti disponibili per riconvertire i siti in cooperative di dipendenti – spiega Marino Murrone, della Fiom di Napoli – ad esempio alla Alcatel di Battipaglia, dove sono a rischio un centinaio di posti da quando il gruppo francostatunitense ha deciso di spostare produzione e ricerca altrove. Ma soprattutto in un’altra fabbrica del settore metalmeccanico, dove sono in 110 tra operai e impiegati. Ci stiamo già lavorando».

Il modello funziona ma non tutti i problemi sono risolti: «Alla Italcables – conclude Murrone – i soci cooperatori hanno investito i fondi destinati alla loro mobilità, hanno potuto farlo perché rientravano nelle vecchie regole per gli ammortizzatori sociali: al sud la mobilità poteva estendersi fino a quattro anni. Con le nuove norme i tempi sono ridotti alla metà e, di conseguenza, anche la cifra percepita è inferiore. Per lo stesso progetto si sarebbero dovuti indebitare».

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