«Per giustificare le scelte che si compiono si sta cercando un nemico, e a noi spetta il compito di prepararci a contrastare questa logica e a rispondere». Susanna Camusso sembra muovere la Cgil verso la mobilitazione contro la strategia del governo sul mercato del lavoro, con l’abolizione definitiva dell’articolo 18. Addirittura osa paragonare Matteo Renzi a Margareth Thatcher.

L’avesse mai fatto: il grande demagogo replica con un videomessaggio social subito ripreso dalle tv. E a colpi di slogan («Sono i diritti di chi non ha diritti quello che ci interessa: li difenderemo in modo concreto e serio») attacca il sindacato, e gioca la carta della guerra fra poveri: «Il governo pensa a quelli a cui non ha pensato nessuno in questi anni, che vivono di co.co.pro. e co.co.co e che sono condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito, preoccupandosi solo dei diritti di qualcuno e non di tutti».

Lo scontro è aperto. La Cisl prende le distanze dalla Cgil, mentre la Fiom anticipa al 18 ottobre la sua manifestazione nazionale, con le otto ore di sciopero già decise.

Poco conta, nell’arena della comunicazione, ricordare che un intervento riduttivo sull’articolo 18 c’è già stato negli anni scorsi. E che le parole chiave del momento – non solo in Italia ma in gran parte d’Europa – sono deflazione, recessione, stagnazione. Piuttosto sono emblematiche le date, come conferma il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei: «Il governo non punta a un decreto con le nuove norme sul mercato del lavoro entro l’8 ottobre, bensì all’approvazione della legge delega da parte del Senato entro quella data, cosa che rappresenterebbe un segnale alla Ue». Che proprio quel giorno ha in agenda un vertice, a Milano, al quale Renzi si vuole presentare con il provvedimento in tasca, tornando a chiedere in cambio una maggiore tolleranza sui conti italiani.

La segretaria generale è a Milano, all’inaugurazione della nuova sede lombarda del sindacato. Da lì risponde all’offensiva lanciata da Palazzo Chigi: «Proprio in questa fase non si sentiva certo il bisogno che il governo si esercitasse a realizzare un mondo del lavoro di serie B. La crisi italiana è di sistema, ma anche dei modelli cui ci si è ispirati. E quanto a modelli, Renzi sembra avere un po’ troppo in mente quello della Thatcher».

A seguire una impietosa analisi dello stato delle cose: «La situazione attuale è il frutto di un modello, quello degli ultimi vent’anni, che ha svalorizzato il lavoro. E un paese che ha bisogno di guardare come esce dalla crisi non ha bisogno di divisioni».

Infine la proposta: «La sfida è che si può riformare lo Statuto, ma facendo in modo che tutti i lavoratori abbiano gli stessi diritti di chi ha un contratto a tempo indeterminato. Quella che oggi per qualcuno è una battaglia di conservazione, è invece la difesa della migliore storia di questo paese, e non ci rinunciamo».

Camusso insiste: «Serve coerenza tra le leggi che si fanno e la Costituzione, che proprio negli articoli meno citati parla di uguale retribuzione per lo stesso lavoro, di parità di salario tra uomini e donne, di nessuna discriminazione, del bene dei singoli che va salvaguardato a prescindere dall’idea di un imprenditore».

Di Costituzione parla anche Maurizio Landini, che ad Ancona, in un’assemblea di Rsu, risponde anticipando di una settimana la manifestazione nazionale della Fiom, e poi segnala: «Sull’articolo 18 Renzi deve dimostrare quanto è “figo” all’Europa. Forse qualcuno gli ha fatto credere che in cambio può sforare dello 0,1 o 0,3%, e che Draghi gli darà qualcosa. Ma cancellare la reintegra in caso di licenziamento ingiusto, sostituendola con un po’ di soldi, è una follia pura ed è contro i principi della nostra Costituzione. Il contratto a tutele progressive è una presa per il c… se alla fine le tutele vengono cancellate. Lo Statuto dei lavoratori ha significato far entrare la Costituzione nelle fabbriche: perché il lavoro è un diritto e uno deve avere la dignità di poterlo fare, senza essere licenziato per le idee che ha, o perché fa il sindacalista, o per il sesso che ha».

Infine una constatazione: «Dire che in Europa l’articolo 18 non c’è è un’altra sciocchezza. La cosa vera è che il governo sta cedendo a un ricatto, e continua a non affrontare il vero problema. Non è che le imprese non assumono perché c’è l’articolo 18: non assumono perché non hanno da lavorare».

Alla pervicace assenza di politiche industriali degne di questo nome, Renzi non ha alcunché da poter ribattere. Quindi gioca sulla guerra fra poveri e sulla disperazione di precari e disoccupati: «Noi non vogliamo il mercato del lavoro della Thatcher, ma un mercato in cui ci sono cittadini tutti uguali. Se poi con queste regole nuove aziende multinazionali e non solo verranno a investire in Italia, e creare posti di lavoro, sarà fondamentale per per dare lavoro a chi non ce l’ha».

Poco conta, agli occhi di Renzi, che da una parte la Fiom denunci («Se i provvedimenti dell’esecutivo diventeranno legge, si renderanno possibili i licenziamenti per giusta causa, il demansionamento dei lavoratori e il loro controllo a distanza»), e dall’altra Landini chieda di combattere la precarietà ed estendere l’occupazione stabile, combattere la corruzione e l’evasione fiscale, far ripartire gli investimenti pubblici e privati, e definire una vera politica industriale. Molto più facile, per il governo, cercare di dividere ulteriormente il mondo del lavoro.