Per i 2 mila insegnanti pugliesi costretti all’esodo al Nord dalla riforma della scuola di Renzi il governatore della Puglia Michele Emiliano ha proposto un contributo per pagare affitti e trasporti. Spese insostenibili per chi ha in media uno stipendio da 1300/1400 euro, un doppio affitto o un mutuo, con una famiglia e figli sulle spalle.

Sollecitato da una lettera inviatagli il 3 agosto scorso, ieri il governatore ha incontrato i sindacati e ha confermato che intende rimediare con i soldi dei contribuenti alle iniquità prodotte dal governo targato Pd. Emiliano ha annunciato di voler sottoporre la misura ai colleghi governatori delle regioni centro-meridionali (Campania, Calabria, Abruzzo, Lazio, Molise, Sicilia e Sardegna) «per costruire con il governo nazionale un’idea di gestione di alcuni costi che subiranno gli insegnanti che dovranno trasferirsi».

Il governatore pugliese ha definito questa soluzione «pratica e umile, senza intenzioni polemiche» con il governo retto dal suo partito. La responsabile scuola Pd Francesca Puglisi ha apprezzato il cambiamento di tono del governatore che ha manifestato più di una critica rispetto alla «Buona Scuola», ma ieri l’ha definita una «riforma storica». Al Nazareno non era piaciuto l’ordine del giorno approvato dal consiglio regionale pugliese il 31 luglio scorso in cui si dava mandato alla giunta di sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla «Buona scuola».

In poco meno di un mese Emiliano sembra avere mitigato le intenzioni bellicose. Le sue perplessità restano, ma ora dice di volere affrontare «pragmaticamente» i problemi di una legge che impone a oltre 20 mila docenti con la valigia di pagare per fare un lavoro a cui hanno diritto. Per rimediare a questa condizione vessatoria, lo Stato potrebbe erogare ad esempio fino a 500 euro al mese, per dodici mensilità, quindi 6 mila euro, per un totale di oltre 120 milioni di euro all’anno a 20 mila persone fino all’età della loro pensione, o un riavvicinamento alla regione di residenza.

Sarebbero queste le caratteristiche di un «welfare temporaneo» immaginato da Emiliano. Si tratta in realtà di un salario differito che non sarà “temporaneo” e presenta problemi di ordine costituzionale. Non solo legittima un dispositivo normativo ricattatorio e arbitrario basato su un algoritmo, ma propone un rimedio emergenziale fuori dal contratto nazionale, fermo dal 2009 e attaccato da Renzi con la proposta del bonus per il merito gestito arbitrariamente dal “preside-manager”. A mali estremi, estremi rimedi, questa è la logica a cui spingerà la «Buona scuola» di Renzi. «Dal momento che sarà un algoritmo a decidere per loro – sostiene in un comunicato l’Anief – è sacrosanto che tutti coloro che verranno collocati oltre un chilometraggio, che supera il comune di residenza, possano chiedere una diaria, al fine di limitare i danni economici».

Oltre al salario differito, Emiliano ha proposto ai sindacati un osservatorio congiunto, un tavolo permanente quinquennale sulla scuola e una delibera di indirizzo generale, da sottoporre anche al consiglio e alla giunta. «Affrontiamo il problema e cerchiamo di gestirlo – ha spiegato – in modo tale da collaborare all’eventuale successo della legge, a prescindere dal giudizio che abbiamo sulla stessa». Tuttavia il giudizio sulla riforma che Emiliano vuole “oliare” in uno dei suoi aspetti più sconcertanti, è dirimente.

Quello di Flc-Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals e Gilda è negativo al punto che a livello nazionale ricorreranno alla Consulta per invalidare la riforma. «Ci stanno condannando a una rappresentazione del sistema scolastico pugliese – scrivevano nella lettera del 3 agosto – fatto di povertà formativa non più emancipabile e che resterà sempre in ritardo rispetto al nord». «Quello di Emiliano appare ancora un auspicio più che un impegno concreto, aspettiamo che si traduca in proposte operative», commenta Domenico Pantaleo (Flc Cgil), che sollecita alla stabilizzazione del personale Ata, a mantenere aperte le graduatorie dei docenti fino all’esaurimento e a trovare una soluzione per le seconde e terze fasce escluse dalle stabilizzazioni imposte dalla sentenza della Corte di Giustizia Ue.