Chiamatela riforma Renzi-Gelmini. Perché ieri l’ex ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, colei che ha tagliato 8,4 miliardi di euro alla scuola e 1,1 all’università nel 2008, ha assimilato il «patto educativo» proposto dall’attuale presidente del Consiglio e dal suo ministro dell’Istruzione Stefania Giannini alla «tradizione di Forza Italia».

«Alla fine il tempo ci ha dato ragione: dopo anni di battaglie per risollevare un sistema educativo intorbidito dalla coda del ’68, ora anche la sinistra finalmente ha dovuto dare atto ai governi Berlusconi di aver agito nella direzione giusta per riportare la scuola italiana ai fasti che merita – ha detto Gelmini – Parole quali merito, carriera dei docenti, valutazione, premialità, raccordo scuole-impresa, modifica degli organi collegiali della scuola, sono state portate alla ribalta dal centrodestra, seppur subendo le censure e le aspre critiche da parte di sinistra e sindacati».

Gelmini fa torto alla «sinistra» che nel suo linguaggio viene assimilata all’attuale Partito Democratico. Nel 2008, quando presentò la doppia proposta di riforma dell’università e della scuola (la legge Aprea) il centro-sinistra era d’accordo. Ma cambiò idea solo perchè milioni di insegnanti, maestri, studenti scesero in piazza. Stesso discorso vale per la seconda parte di una vicenda che terminò con il voto in Senato del 23 dicembre 2010. Invece di contestare il voto irregolare su alcuni emendamenti, autorizzati da una memorabile Rosi Mauro (Lega Nord) allora in presidenza dell’aula, la capogruppo Pd Anna Finocchiaro si distinse per un lungo discorso auto-critico sul 68. Quello della «sinistra» non è dunque uno «sdoganamento» dell’ideologia del merito e della valutazione, ma il compimento di un lungo percorso iniziato nel 2006 quando a viale Trastevere c’era Fabio Mussi.

Forza Italia resta scettica sulle coperture finanziarie per l’assunzione di 150 mila precari nel 2015, in tempi in cui il governo non riesce a trovare 416 milioni per mandare in pensione i «Quota 96». «Se Renzi pensa di cavare un solo centesimo da nuove tasse – sostiene Gelmini – troverà in Fi un’opposizione irriducibile».

Gelmini riesce anche a identificare una vecchia regola delle politiche dell’istruzione, del lavoro e della conoscenza in Italia. Le “riforme” ci sono quando è la sinistra a stare al governo. Quella “sinistra” che si vanta ancora di avere un rapporto di concertazione o contiguità con i sindacati, o comunque un potere di interdizione. Senza contare – particolare non secondario – che molti degli insegnanti come dei precari continuano a votarla.

Nelle prossime settimane si capirà se reggerà questo legame con le “vestali del ceto medio”, citando il titolo dispregiativo di un’analisi in realtà classica di Marzio Barbagli sulla scuola italiana negli anni Sessanta. Ci sono altri fattori da considerare. Nel 2008 il mondo dell’istruzione insorse, ma c’era al governo Berlusconi (da poco tornato a Palazzo Chigi) e l’anti-berlusconismo (e le campagne anti-casta) stavano diventando la grammatica dell’opposizione.

Oggi c’è Renzi che gode di una buona salute mediatica, sebbene gli editorialisti di tutti i giornali non abbiano nascosto critiche e perplessità sul suo modo di governare. Nel frattempo l’opposizione studentesca e sindacale è stata fiaccata, anche dalla crisi e dalla precarietà dilagante. Elementi problematici che non lascerebbero, al momento, spazio per un movimento paragonabile al 2008 e, ancor più, al 2010. In ogni caso, gli studenti medi confermano la loro prima data di contestazione: il 10 ottobre in centinaia di piazze in tutto il paese.