Sciopero generale dei sindacati della scuola il prossimo 23 maggio. Lo hanno annunciato ieri Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola e Snals in un presidio convocato a Piazza Montecitorio a Roma. Nel primo giorno del concorso per 63.712 cattedre, e a un anno esatto dallo sciopero generale che il 5 maggio 2015 portò a una grande manifestazione contro la “Buona scuola” di Renzi, i sindacati tornano torneranno a manifestare sul contratto di categoria e per la «stabilità del lavoro, la qualità dell’apprendimento e la partecipazione democratica».

«Trovo singolare proclamare uno sciopero contro un governo che assume e annunciarlo nel giorno in cui parte il concorso», ha detto la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini. E così lo scontro si è riacceso. La segretaria della Cgil Susanna Camusso ha risposto: «Il concorsone non risolve i problemi, la ministra invece di lamentarsi dovrebbe proporre l’apertura di un confronto contrattuale».

L’annuncio dello sciopero non è stato preso bene dagli esponenti del Pd. «Il governo Renzi avrà assunto, nell’arco di un triennio 180 mila nuovi docenti e i sindacati confederali fanno sciopero – ha detto Andrea Marcucci, presidente Pd della commissione Istruzione al Senato – Preferivano le sanatorie e le migliaia di precari che hanno creato?».

Per la Uil Scuola il problema non è solo il modo in cui questi docenti saranno stati assunti, il sistema della valutazione o il senso del concorso iniziato ieri tra tensioni e incertezze. Ci sarà infatti una differenza tra quelli di ruolo e quelli assunti in “fase C” e assegnati al “potenziamento”, saranno cioè dei “tuttofare” a disposizione dei presidi nei relativi “ambiti territoriali”. Per i sindacati il problema principale è il contratto. «La dignità del lavoro non è negoziabile – ha affermato il segretario della Uil Pino Turi – Quel che il governo non vuole capire è che le assunzioni non cambiano le condizioni di lavoro nella scuola».

Di fondo resta una timida opposizione alla riforma: contro il potere attribuito al preside manager, ad esempio. Con la riforma attribuirà un bonus ai docenti al di fuori del contratto di lavoro, bloccato dal 2010. Una soluzione che frantuma la mediazione sindacale sulla contrattazione, mentre gli scatti stipendiali restano bloccati.

Lo scontro è tra principi notevolmente diversi: da un lato c’è la visione autoritaria di Renzi; dall’altro lato c’è l’idea collegiale della scuola, fondata sui corpi intermedi. Renzi e il Pd non la sopportano, e vogliono disarticolare i sindacati. In mezzo finisce la libertà dei docenti: i neo-assunti ne risentiranno molto, mentre tutti soffrono per gli stipendi bassi. Da qui nasce lo sciopero generale del 23 maggio, a un anno da quello che bloccò la scuola nel 2015, mentre il Parlamento approvava la legge più odiata, così fu definita allora la “Buona Scuola”.

In dodici mesi, tuttavia, è passata molta acqua sotto i ponti. Il movimento della scuola che aveva impegnato il governo, e fatto traballare qualche equilibrio nel Pd senza produrre conseguenze, si è spento. In queste settimane si è cercato di rialzare la bandiera contro la riforma, lanciando la raccolta delle firme per i quattro quesiti del referendum abrogativo della “Buona Scuola”, in una campagna che comprende anche due quesiti contro gli inceneritori e le trivelle petrolifere e una Petizione in difesa dell’acqua pubblica.

Le firme sono raccolte dai Cobas e dalla Flc Cgil. È proprio al sindacato di Domenico Pantaleo che si è rivolto ieri Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas: «Il loro sciopero arriverà dieci giorni dopo il nostro, convocato più di due mesi fa il 12 maggio in coincidenza dei quiz Invalsi alle superiori. Dividerà la categoria che aveva lottato unita nel 2015. Perché non indicare lo stesso giorno che coincide con la protesta degli studenti?». La mobilitazione del 12 maggio coinvolgerà anche il sindacato Gilda e l’Unione Sindacale di Base (Usb) che ha lanciato lo «sciopero delle mansioni». Gli insegnanti si rifiuteranno di somministrare i contestatissimi test.

I sindacati di base contestano l’accordo sulla mobilità dei docenti firmato dalle sigle confederali. In uno scenario di divisione sindacale, l’Unicobas rimprovera di avere accettato sostanzialmente gli architravi della riforma di Renzi: la chiamata diretta dei presidi e gli ambiti territoriali. La chiamata diretta è uno dei quesiti del referendum abrogativo.