Il processo di costruzione di Sinistra italiana, che avrà un suo momento importante nell’Assemblea nazionale del 16 luglio, non può non avere al proprio al proprio interno, come uno degli assi centrali su cui costruire la propria proposta politica, il grande tema del sapere negato. Perché esso è alla base sia delle difficoltà del paese di imboccare la strada di uno sviluppo socialmente ed ambientalmente sostenibile, sia di disuguaglianze intollerabili. Il sapere e la cultura sono ancora oggi negati ai più poveri. Occorre leggere anche da questo punto di vista la questione delle periferie. I differenziali fra le speranze di vita, documentate da una bella ricerca della Università di Torino, che dividono chi vive in centro da chi vive in periferia, corrispondono pressoché esattamente ai differenziali nelle speranze di vita fra chi ha la laurea e chi si è fermato alla scuola dell’obbligo. Il basso livello di istruzione della popolazione italiana, rispetto alla popolazione europea e non solo, è il più grosso freno alla costruzione di città intelligenti, che sono quelle capaci di organizzare la mobilità, i servizi, la gestione dei rifiuti evitando sprechi di risorse, di suolo, di ambiente, e l’origine di disuguaglianza intollerabili nelle possibilità e capacità di accesso alle prestazioni dello Stato sociale, a partire dalle prestazioni sanitarie.

Contrastare la dispersione scolastica, costruendo davvero la scuola di tutti e di ciascuno, sostenere le scuole di periferia che si impegnano con passione e intelligenza nel compito di contrastare le disuguaglianze di censo, come quelle derivanti dalle diversità linguistiche e culturali dei bambini e dei ragazzi che le frequentano; costruire e sostenere le forme di accesso al sapere degli adulti , con un sistema di formazione permanente che faccia capo alle scuole, alla rete delle biblioteche comunali, che decentri nella periferie attività culturali significative, è uno degli obiettivi fondamentali che abbiamo davanti, per accompagnare il contrasto alla buona scuola di Renzi con il sostegno effettivo alla buona scuola che c’è.

Ma è negato anche il sapere di quanti con impegno e fatica si sono laureati e dottorati e non trovano un modo per mettere all’opera il proprio sapere, che sono disoccupati o che lavorano poco e male. Perché la produzione di merci e servizi di questo paese non sembra in grado di utilizzare sapere, schiacciata su un’idea di competitività di cui l’asse fondamentale sembra ancora essere quello di ridurre il costo del lavoro e dei diritti; perché lavori ne offre sempre meno anche la pubblica amministrazione, pur essendo nel nostro paese il numero di dipendenti pubblici parametrato alla popolazione fra i più bassi dell’Occidente, e anche la strada della ricerca sembra preclusa dai tagli di cui non si vede la fine al sistema Universitario e a quello della ricerca pubblica. Per non parlare dei giovani che hanno affidato il loro futuro alla loro passione per l’arte, per la musica, per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale e ambientale, a cui l’accesso al lavoro e’ precluso dal disinteresse di chi ci governa per la manutenzione e la crescita dei più belli fra i beni comuni.

Ma forse sta per risolversi il paradosso italiano che è quello di avere il minor numero di laureati rispetto alla maggioranza degli altri Paesi e insieme la più alta percentuale di laureati disoccupati. Risolto nel modo peggiore, la diminuzione dei laureati, che è quello che schiaccerebbe l’Italia nella fascia più bassa fra i Paesi che si confrontano a livello globale. Il governo ha accompagnato, anzi ha favorito, il declino dell’Università di massa. L’assenza di una vera legge per il diritto allo studio, il rialzo costante delle tasse universitarie, la mancanza di sbocchi lavorativi dignitosi, ha provocato una diminuzione dei giovani che all’università si iscrivono, specialmente fra i figli delle famiglie povere. Credo sia un’obiettivo prioritario per una sinistra che voglia ridisegnare un’idea di sviluppo per il nostro Paese, capace di far crescere la quantita, la qualità e la dignità del lavoro, impegnarsi a tutti i livelli, da quello Parlamentare alla mobilitazione che è possibile costruire nel Paese, per sostenere la legge di iniziativa popolare per il diritto allo studio promossa dai giovani studenti e ricercatori della Rete della conoscenza, avendo come orizzonte strategico la gratutità dell’istruzione a tutti i livelli, dalla scuola dell’infanzia all’università.

E insieme occorre contrastare la logica perversa di un sistema di valutazione dell’università e della ricerca che ha avuto come esito quello di spostare risorse dalle università del Sud a quelle del Nord, dalla ricerca disinteressata a quella destinata ad attrarre finanziamenti privati. Il clima di competitività che si è creato dentro le università e fra le università per accaparrarsi i soldi necessari a sopravvivere, data la costante diminuzione delle risorse, finanziarie ed umane, che ne assicurano il funzionamento ordinario, sta distruggendo il senso fondamentale dell’istituzione, che è quello di produrre e trasmettere sapere. Con una straordinaria inversione fra i mezzi fini. Non si cercano più soldi per realizzare idee, ma hanno audience solo le idee che attirano soldi. La politica sembra aver affidato il compito di gestire la redistribuzione diseguale delle risorse all’Anvur, l’agenzia per la valutazione, che ormai ha assunto lo stesso ruolo che hanno i dettami dell’economia liberista nello scenario economico più generale, quello cioè di ammantare di ragioni oggettive la crescita delle disuguaglianze. Non stupisce che fra i più fieri sostenitori di questo sistema di valutazione ci siano quegli stessi che dalle pagine dei giornali e come consiglieri del Principe continuano a tessere le lodi del liberismo, anche dentro la sua crisi conclamata. Allora l’altro grande obiettivo di fase che potremmo darci è proprio l’abolizione dell’Anvur e di questo sistema di valutazione. La comunità scientifica, gli studenti, i cittadini, il parlamento decideranno se e cosa mettere al suo posto. Ma è preliminare liberare il campo da un’istituzione che ha un ruolo così rilevante nel negare il sapere come attività libera e disinteressata, e nel produrre intollerabili disuguaglianze.