Alle 10 di questa mattina il mistero renziano sulla scuola sarà rivelato. Sul sito passodopopasso.italia.it verranno pubblicate le «linee guida» del «patto educativo»: «La buona scuola». E non chiamatela «riforma della scuola», ha precisato il presidente del Consiglio. Le proposte verranno sottoposte ad una consultazione pubblica e online dal 15 settembre al 15 novembre. Nella legge di stabilità, ha annunciato ieri Renzi nella sua newsletter «Enews», verranno inserite le «prime risorse» e da gennaio il governo si è impegnato a produrre i primi provvedimenti legislativi.

«Proporremo agli insegnanti – ha spiegato – di superare il meccanismo atroce del precariato permanente e della supplentite, ma chiederemo loro di accettare che gli scatti di carriera siano basati sul merito e non semplicemente sull’anzianità: sarebbe, sarà, una svolta enorme». Il passaggio è sancito: dalla contrattazione nazionale, e dalla carriera basata sull’idea di «servizio pubblico», si passerà alla «meritocrazia»: un contratto vincolante per l’individuo sia in termini economico-finanziari (più lavori, più vieni valutato, più vieni pagato) che in termini morali (l’insegnante, o lo studente, non «bravi» non sono «eccellenti» e «efficienti», e quindi verranno esecrati?).

Per fare questo sarà necessario introdurre dosi massicce di valutazione per «misurare» i «meriti» (e gli stipendi) di docenti e studenti (con le prove Invalsi). Ufficialmente per trasformare insegnanti e famiglie in «comunità educanti», altra espressione renziana. Concretamente per delineare una società dei «controlli» e delle sanzioni per valutare e punire i meriti e i demeriti degli individui.

«Quella che stiamo elaborando non è l’idea di stabilizzare i precari – ha detto ieri da Bruxelles il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini – Quello che vogliamo fare è mettere fine a questo metodo negativo che ha soffocato la possibilità di crescita della scuola italiana. Bisogna veramente cambiare il sistema e questo si abbina a un cambio delle regole del gioco».
L’esegesi di queste dichiarazioni resta difficile perché contrastano con l’annuncio di «stabilizzare» 100 mila precari dalle graduatorie ad esaurimento o abolire quelle di istituto. Tra le righe forse si vuole attribuire la «supplentite» (altra invenzione linguistica di Renzi) ai docenti precari che da anni danno una parvenza di normalità alla scuola italiana. Proprio come se fosse una malattia dei singoli, non una degenerazione del sistema scolastico che precarizza 280 mila persone nelle graduatorie e 337.458 iscritte nella «terza fascia».

È anche probabile che il governo non abbia le risorse per finanziare una simile impresa. Renzi ieri ha evocato il passepartout della «spending review», una coperta stretta utile per tutte le stagioni. Qualora riuscisse nell’impresa, quella del governo sarà una normale attività di sostituzione al lavoro delle 90-100 mila persone che andranno in pensione dal 2015 al 2022.

Resta da capire, e non è detto che lo scopriremo questa mattina, il destino riservato ai precari che non rientreranno nella stabilizzazione-che-non-si-può-chiamare-stabilizzazione. Si parla di una riforma del «reclutamento» dei docenti a partire dall’università. Un provvedimento reso necessario dal caos disumano prodotto dai predecessori della Giannini (Gelmini-Profumo-Carrozza) sull’abilitazione all’insegnamento dopo la chiusura nel 2007 delle Siss. Oggi è frazionato tra Tfa, Pas, senza dimenticare gli «idonei» o i «vincitori senza cattedra» generati dal «concorsone» del 2012.

Tra incognite e auspici, nel frattempo si può apprezzare la portata ideologica dell’operazione. La scuola, ha detto ieri Renzi, «è alfa e omega di tutto». Come nel 2008 con la riforma Gelmini, anche oggi la scuola – la conoscenza e il suo rapporto con l’istruzione tecnica e professionalizzante – vengono usati come lo sfondo dove proiettare le ombre di un progetto neoliberale di società.

In questa chiave si può interpretare la trasformazione dei dirigenti scolastici in manager di una scuola-azienda; l’introduzione dell’inglese e dell’informatica («coding» così si esprime Renzi) sin dalle materne; il «modello tedesco» con stage e apprendistato a scuola (pallino della Gelmini, poi della Fornero, che riscuote consensi tra i sindacati). In attesa di capire come opererà l’«organico funzionale a rete» prospettato ai neo-assunti o ai precari, al momento simile al «lavoro a chiamata». Le fabbriche, come la scuola, funzionano già così.