Manuela, Angela e Elena. Tre donne decise a non cedere al ricatto. Come decine di migliaia di altri docenti precari nella scuola, il governo Renzi le sta trattando come pacchi che possono essere spostati da una parte all’altra del paese, senza una vita né relazioni. Hanno tempo fino al 14 agosto per compilare un modulo dove esprimere la preferenza di un posto tra le 100 province italiane.

Entro novembre il sistema individuerà il primo posto libero, sulla base del punteggio accumulato in anni di insegnamento, in base all’ordine di preferenza. Se sei di Trapani potrai andare a lavorare a Belluno. Se sei di Roma potrai finire a Campobasso o a Biella. Ma, dopo, tutto cambierà. Ancora. E ricomincerà il valzer dei posti per il popolo di docenti con la valigia. I «presidi manager», tanto cari al premier, li potranno utilizzare per un massimo di 36 mesi. E la giostra ricomincerà.

Non è facile trattenere l’angoscia. In ballo ci sono anni di insegnamento, famiglie, figli, genitori malati. La necessità imprevista di mantenere due case, pagare bollette, con uno stipendio tra i più bassi d’Europa. Chi vuole lavorare, pagherà di tasca propria questo diritto. Chi non accetta, perderà il posto a scuola. Ad oggi sono state presentate 22 mila domande, ma si parla di «boicottaggio» al punto che la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini si è allarmata. Secondo un sondaggio di «Orizzonte scuola», il 62% dei docenti non farà domanda. Alla fine potrebbero essere solo 30 mila, contro un’attesa di 80 mila.

Il ricatto
«Ci hanno posto davanti a una scelta, senza nemmeno consultarci – racconto Manuela, docente di letteratura italiana nelle scuole superiori a Bari e provincia, dieci anni di precariato – Se vuoi il ruolo è a queste condizioni. Se non accetti vieni esclusa dalle graduatoria. E il governo dirà che è colpa nostra, loro il lavoro ce l’hanno dato. Renzi dice che noi del Sud siamo dei piagnoni. Io ci vedo invece l’ingiustizia. A 40 anni non devo dimostrare più nulla a nessuno e non mi devo liberare di nessuno stereotipo. Ho una professione e non digerisco che mi diano della piagnona dettandomi le condizioni per lavorare o per essere licenziata. Non ho vincoli familiari, sono libera di muovermi, ma il discorso è un altro. Lo sradicamento violento a cui ci costringe questa politica antidemocratica inciderà sulla professionalità dei docenti. Se vado da sola a Treviso, mettiamo, mi rimboccherò le maniche per entrare in empatia con le classi, conciliando il lavoro con la vita privata. Ma quando hai una melanconia dentro, non è facile fare questo. Non so dire nemmeno di essere rassegnata, mi sento vittima di una condizione che sono costretta ad accettare. Mi sento sola a combattere. Nessuno è in grado di capire i disagi a cui andiamo incontro. Ho l’impressione che i sindacati non ci sostengano nel boicottaggio della domanda, anzi se il nostro fine è l’immissione in ruolo ci dicono che la domanda va fatta. Perché non ci aiutano a boicottarla? Non ci danno risposte univoche. Io l’avrei fatto, ma non posso farlo da sola. Bisogna essere compatti, ma i docenti precari sono spaccati. Entro il 14 compilerò la domanda. Non andrò in vacanza, devo fare l’analisi delle province, capire i posti in base alle mie esigenze. Sono obbligata, ma non mi fido. Il ministero ci rassicura, ma sappiamo che così come hanno cambiato sempre le regole negli anni scorsi, potranno continuare a farlo nei prossimi».

Un salto nel buio
Angela, docente di lingua e letteratura inglese a Bari, non presenterà la domanda. Resterà nella sua graduatoria. Ma al momento non si sa cosa può succedere. Il Miur ha parlato di «soppressione», ma in realtà dovrebbe essere in esaurimento. «Lo faranno tanti altri, le incognite sono troppe – racconta – Non si può decidere di stravolgere i propri progetti di vita, lasciare due figli piccoli di uno e cinque anni. Ho un compagno che è entrato da poco in ruolo grazie al concorso del 2012. Siamo abilitati alla Siss del 2009. Per fortuna abbiamo una casa, una rete familiare di sostegno, ma pensare di gestire questa situazione da solo per lui è insostenibile. Così come pagare un altro affitto in un’altra città. Al ministero sanno benissimo che la maggioranza degli iscritti alle Gae hanno quarantanni e che con tutta probabilità non avrebbero accettato queste condizioni. Punteranno ad aizzarci contro il senso comune anti-docenti, diranno che siamo privilegiati e che non vogliamo fare sacrifici. Per me è fatto a posta. Un’amica che lavora nel privato mi ha detto che quando si vuole costringere qualcuno a licenziarsi lo si trasferisce sperando che ceda a causa di una situazione insostenibile. È quello che stanno facendo a noi, che non sappiamo se e quando potremo tornare nella città o nella provincia dove abbiamo sempre lavorato. È un’ingerenza nelle vite individuali, non necessaria perché si poteva pensare ad altre forme di assunzioni pur mantenendo gli stessi numeri. Non sappiamo se ci saranno supplenze annuali quest’anno. Per l’anno prossimo non è dato saperlo. È un salto nel buio».

Un nuovo inizio
Elena insegna lingua e letteratura tedesca a Roma. È una «giovane donna di quasi 50 anni, con un figlio preadolescente, un padre con l’Alzheimer a soli 300 km da qui». «Sono una ex-lavoratrice autonoma, traduttrice a diritto d’autore e con partita Iva, docente a tempo determinato da soli 15 anni e stavo aspettando questa chance per sistemare la mia vita lavorativa – racconta – Non avrei nessun problema a cambiare città. Nella vita ogni cambiamento è benvenuto, ma a fronte di quale garanza? Il lavoro si paga, anche gli spostamenti. Invece l’atteggiamento della ministra Giannini è dirci che questa è una grande occasione. Sono trent’anni che lavoro, non sta parlando con una ventenne, e mi chiede di cambiare dandomi cosa? Se ci fosse stata da parte dei sindacati l’idea di non presentare domanda come forma di lotta, io l’avrei fatta. Se si augurano però di cancellarmi, se lo possono scordare. A me non mi cancellano. Io ho fatto un esame di stato. Chi decide oggi della scuola non lo ha mai fatto. Il mio consiglio è di fare domanda e poi di individuare insieme le forme di lotta. A quasi cinquant’anni la sensazione è che l’energia per reinventare la vita non c’è. Ora sono in Germania, sto cercando la giusta distanza per capire cosa fare se tutto questo finisce nel nulla. Al limite mi trasferisco a Lipsia. Ma non finirà con la fuga. Devo pensare e trovare il senso di un nuovo inizio. A mio figlio dico di vivere il presente, coltivare una forza interiore per sopravvivere a tutto questo, mantenendo la propria felicità. Indipendentemente dal paese in cui vivrà, gli insegno a parlare le lingue e a capire l’altro, di qualunque origine sia. Continuo a non volermi sentire vittima, a non piangere, penso che questa classe politica sarà spazzata via. Forse da persone peggiori, ma sarà spazzata via alle prossime elezioni. Hanno i giorni contati».