Avere tra i sette e i dieci anni, leggere un testo e rispondere ad un minimo di 20 domande sul senso di quanto appena letto. Tempo: 45 minuti per testare la capacità di «lettura e decodifica» di 568 mila studenti iscritti alla seconda e alla quinta classe della scuola primaria. Trattati come polli in batteria, a questi bambini verrà oggi somministrato il test Invalsi come si fa con uno sciroppo o una scarica di adrenalina prima della corsa in un cinodromo.
Domani sarà il turno della prova di «matematica» per le seconde e le quinte. La prossima settimana, martedì 13 maggio, scenderanno in campo 562 mila adolescenti che frequentano la seconda superiore. Anche loro verranno messi davanti al foglio bianco a mettere crocette a tempo. Giovedì 19 giugno saranno protagoniste le terze medie con i loro 561 mila studenti. Per la prima volta i risultati del test rientreranno nella valutazione dell’esame di terza media. Un progetto che si vuole estendere fino alla maturità per rendere vincolante il punteggio dei quiz anche per l’accesso alle facoltà a numero chiuso.
Il Miur ha speso 14 milioni di euro per organizzare la gara annuale dei quiz Invalsi. Un esborso che la neo-presidente dell’Invalsi Annamaria Ajello – l’Istituto che pensa, organizza e somministra i test – spiega con la necessità di disciplinare sia gli studenti che i docenti: la prova dev’essere individuale, gli insegnanti non possono suggerire e gli studenti non devono copiare per evitare di rovinare la purezza delle analisi statistiche. «Comporterebbe la rilevazione di dati privi di significato o addirittura fuorvianti e costituirebbe uno spreco di tempo e di dinaro per le scuole stesse e per l’Invalsi» ha scritto Ajello in una lettera inviata ai presidi.
Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ieri ha solfeggiato la parola d’ordine della valutazione degli studenti, i cui risultati devono essere vincolati al rendimento degli insegnanti. Il progetto è legare gli esiti dei test all’aumento del loro stipendio. L’immaginario è lo stesso che governa lo sport: all’allenatore della squadra che vince va un premio-partita; al docente che avrà reso produttivi gli studenti un aumento di stipendio. «La valutazione deve diventare la chiave anche di selezione e di cambiamento radicale della figura dell’insegnante e della sua valorizzazione – ha confermato Giannini – dando la possibilità di promuovere chi lavora di più sia a livello economico che funzionale».
Questo è il progetto «meritocratico» con il quale Giannini, e il suo governo, vuole scardinare il sistema basato sulla contrattazione sindacale. Altro punto in agenda: trasformare la didattica basata sull’apprendimento contestuale – alla luce delle differenze socio-economiche e delle provenienze territoriali degli studenti, ad esempio – secondo i principi neoliberali del «teaching to test», l’addestramento di studenti e docenti a risolvere test. In più, la valutazione del «capitale umano» serve a distribuire risorse economiche sempre più scarse ai presidi-manager e ai docenti in direzione della trasformazione definitiva della scuola in un’azienda.

Con l’Invalsi il governo intende confermare l’impegno nella scalata alle classifiche di rendimento o di produttività stilate dall’Ocse. Se, ad esempio, prendiamo la valutazione dei risultati dei test Pisa effettuata sui questionari del 2012, l’Italia si è collocata tra il 30° e il 35° posto, in lettura tra il 26° e il 34°, in scienze tra il 28° e il 35° su 65 paesi. Risultati mediocri che hanno segnato un miglioramento di 19 punti in matematica (494 contro i 466 del 2003). Causa di tutti i mali sarebbe la mancanza di disciplina scolastica. Il 48% degli studenti si è assentato uno o più giorni nell’arco delle due settimane precedenti al test. L’«inefficienza» è dovuta all’inesistente «potere decisionale dei dirigenti sulla spesa per il personale».

Dall’Ocse è giunto l’invito a conferire a queste figure un maggiore potere. I test Invalsi si inseriscono in questa cornice. Le proteste «contro la scuola degli indovinelli» di oggi e domani organizzate dai Cobas e dagli studenti dell’Uds, dell’Udu e da molti collettivi il 12 e 13 maggio, non hanno nulla di rituale. Rispondono, anzi, ad un disagio diffuso anche tra genitori e insegnanti, oltre all’esigenza di contrastare la pedagogia neoliberale all’opera in questi test. I Cobas Piero Bernocchi (oggi in sciopero) rileva come anche la fondazione Agnelli abbia rilevato il legame improprio tra i risultati dei quiz e i premi ai docenti. Domenico Pantaleo della Flc-Cgil non accetta che l’Invalsi valga alla terza media e ne chiede una riforma radicale. Inizia così la settimana del boicottaggio delle prove.