Bravo Obama che mercoledì ha chiamato Tsipras per congratularsi con lui e dare il suo appoggio «alla lotta contro l’austerità». Certo, ha impiegato tre giorni dopo i risultati elettorali di Atene, ma decisamente meglio lui dell’insopportabile ringhio della Merkel. Comunque, perché Obama ha voluto inviare il suo tardivo messaggio di sostegno?

La spiegazione non sta solo nel fatto che Washington ha appoggiato Syriza in chiave anti-monolitismo Ue, né nel diverso stile del presidente Usa, ma in quel che dicono in queste ore i più influenti giornali americani, a partire dall’editoriale di mercoledì del New York Times e dai think tank della Casa bianca.

Tutti consigliano l’Amministrazione Usa a non volgere lo sguardo da quella che considerano la crisi più pericolosa. Non la dimenticata questione palestinese, o l’Isis sul fronte iracheno-siriano, né l’Afghanistan, ma la guerra civile in corso in Ucraina. Che ha fatto più vittime di ogni altra, divampa nel cuore d’Europa e ai confini insidiosi della Russia. Com’è evidente all’Unione europea e alla Nato che lì vede realizzata la sua strategia di allargamento della Nato ad est.

Ma la novità è, per il fronte occidentale, ancora più gravida di incertezze: il nuovo governo greco, per bocca sia del neo-premier Alexis Tsipras che del nuovo ministro degli esteri Nikos Kotzias – autore di un pregevole libro dal titolo «Debito-colonia» -, dice chiaramente no a nuove sanzioni alla Russia usate fin qui per «risolvere» la crisi ucraina, ventilando l’inesistente e propagandistica «invasione» di Mosca. Così si muove anche la Repubblica di Cipro, membro Ue. Il nuovo governo greco non solo agisce verso l’Unione europea per quello che riguarda la rinegoziazione del debito europeo che ha devastato con l’austerità imposta la società greca, ma alza la voce sullo scacchiere internazionale ed europeo, consapevole che l’Ue non ha – istituzionalmente e di fatto – una sua poltica estera ma la delega all’Alleanza atlantica.

Così Tsipras dice chiaro a Mogherini Mister Pesc, che ha annunciato nuove sanzioni contro la Russia, che la Grecia non è stata consultata e comunque che «non è d’accordo». È stato così chiaro che subito il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov ha invitato a Mosca il ministro degli esteri di Atene.

I greci hanno buona memoria, se chiedono la restituzione dei debiti di guerra contratti dalla Germania nazista. Hanno in maggioranza votato Syriza e quindi devono e possono, obtorto collo, accettare l’internità alla Nato del loro Paese, ma certo non dimenticano che il golpe militare dei Colonnelli greci nel 1967 venne decisa dentro la Nato; né che dentro la Nato fu la guerra del 1974 contro la Turchia che invadeva Cipro, mentre ora Ankara resta sullo scenario geopolitico come un peso irrisolto a ridosso della Grecia democratica.

Senza dimenticare il fronte balcanico – alla fine la Grecia è l’estremo sud-est europeo dei Balcani – con la questione macedone aperta e il ricordo formativo delle mobilitazioni di massa della sinistra e dei pacifisti greci contro la guerra «umanitaria» dell’Alleanza atlantica che bombardava dal cielo la piccola ex Jugoslavia, partorendo alla fine un secondo Stato albanese, quello del Kosovo che ha fatto unilateralmente secessione e la cui indipendenza Atene non riconosce.

Inoltre Syriza ha fin qui valutato la crisi ucraina diversamente dalle interpretazioni di Bruxelles, fin da piazza Majdan, giudicata dai media della Sinistra radicale greca sia come giusta protesta contro il corrotto Yanukovic (abbandonato quando chiedeva un congruo prestito per risolvere la drammatica crisi interna, dall’Unione europea nelle mani di Putin e della Comunità degli Stati indipendenti) poi però degenerata nel protagonismo di tanti nuovi e vecchi oligarchi, nell’aperta rivolta, violenta e di estrema destra, del nazionalismo ucraino contro la fortissima componente russa del Paese, fino a provocare la reazione altrettanto violenta degli insorti russi.

Atene tratterà sul debito, ma non tacerà sui limiti rappresentati da una Ue che si consegna alle strategie militari statunitensi. Perché la crisi ucraina preme sugli ultimi due anni del mandato di Obama. Che ha fatto l’impossibile, senza riuscirci, per non praticare il «militarismo umanitario», rimproverato da destra e da «sinistra»; e sa che consegnare irrisolta la crisi tra Kiev e Mosca, vorrebbe dire preparare venti di Guerra fredda caldissima – il nemico torna sempre utile – fatta apposta per una nuova amministrazione Usa, dei Repubblicani oppure della democratica e guerrafondaia «umanitaria» Hillary Clinton. A denunciare la possibilità di una nuova guerra aperta è in questi giorni a Mosca Michail Gorbaciov, mentre la Duma russa sta per votare – in difesa del principio di annessione della Crimea, considerata territorio russo – un ordine del giorno contro l’annessione nell’89 della Germania dell’Est fatta dalla Germania dell’Ovest, scrivono, «senza referendum».

Ma soprattutto mentre Putin annuncia una legge per un più duraturo visto alle migliaia di giovani ucraini che disertano dalla guerra, sia dalle città sia dal fronte, dove vengono presi a cannonate dalle truppe governative ucraine. Diserzioni così pesanti e l’evidenza che i ribelli filo-russi stanno vincendo la guerra sul campo, che hanno spinto il governo ucraino ad una nuova allarmante mossa: chiedere nuovi aiuti in armi alla Nato e un suo maggiore coinvolgimento, oltre che nuove più pesanti sanzioni a Mosca.

Se la Grecia rompe anche il fronte del «debito di guerra» – tra l’altro, le spese militari di Atene saranno ridimensionate per risolvere il primo nodo della crisi che, per Tsipras, è la miseria – vale a dire quello del confronto militare occidentale a tutti i costi con la Russia, frana l’omogeneità atlantica dell’Unione europea in favore della nascita di una autentica politica estera europea. E sarebbe l’altra, benvenuta novità rappresentata dalla vittoria di Syriza.