Durante la trattativa dell’Eurogruppo, è emersa l’offerta di Schäuble alla Grecia: un’uscita concordata dall’euro. Offerta, estensibile ad altri paesi, che mostra non solo il piano A di Schäuble, ma forse della stessa Germania nella misura in cui la trattativa ha lanciato prepotentemente la sua candidatura a prossimo Cancelliere. Qual è il progetto «europeo» implicito nell’offerta? Potremmo definirlo un progetto di grande spazio tedesco. E, sia ben chiaro, l’uscita di uno o più paesi dall’euro non fa uscire da questo grande spazio. Anzi, vi fa entrare.

Bisogna infatti pensare a questo progetto a partire dal cuore teorico della dirigenza tedesca del dopoguerra: l’ordoliberismo, la cui essenza sta proprio nel prefisso ordo. Cioè, per quanto «liberismo» – ordinamento fondato sul «mercato» – il prefisso implica un «limite» al mercato, una regola che si esprime in una gerarchizzazione, come in qualsiasi ordo. Non si lascia fare tutto al mercato. O meglio lo si lascia fare dove non c’è interesse a limitarlo, o gli si creano condizioni favorevoli, gli si fa l’apripista; come per il pacchetto Hartz, approvato in Germania nei primi anni Duemila.

Il punto essenziale di questa riforma è la segmentazione «gerarchizzata» del mercato del lavoro; che costruisce una serie di fasce a tutele decrescenti. Inoltre, alla gerarchizzazione funzionale è associata una gerarchizzazione «spaziale». Dentro alla Germania, all’Est, ma anche tra Germania e paesi come Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e altri. Anche perché se il progetto di «uscite concordate» si dovesse sviluppare l’euro centrale si rivaluterà e questo metterà sotto pressione la redditività globale; che potrà essere recuperata nei paesi satelliti mettendo sotto pressione il costo dei loro input nel prezzo finale. Quindi, una gerarchizzazione spaziale sta alla base ordoliberista del grande spazio tedesco. Al centro di questo grande spazio starebbe non solo la Germania, ma anche il nucleo di paesi, – Belgio, Olanda, Lussemburgo – che, oltre all’omogeneità politica mostrata nelle recenti vicende europee, garantisce anche un’area valutaria ottimale. Paesi, cioè, dal punto di vista economico sufficientemente omogenei da non provocare spinte centrifughe in conseguenza di un’unificazione monetaria.

La Francia non entra nel quadro. Un’economia troppo poco orientata all’export e troppo dipendente da una domanda interna alimentata da un welfare ancora molto generoso. Agli antipodi della concezione tedesca. Ma qui fa aggio la politica. La Germania non può fare a meno della copertura politica francese, e proprio ora che nelle situazioni di crisi, come quella greca, è stato visibile che il decisore ultimo per la posizione Ue è stata la Germania. Di conseguenza era tanto più necessario che non apparisse l’immagine di «un paese solo al comando»; e quindi anche la Francia fa parte del «cerchio interno» di questo grande spazio.

E ancor meno c’entrano i paesi mediterranei, Italia, Spagna – Portogallo per affinità, e Grecia a parte – i cui problemi proprio per le dimensioni richiederebbero un cambiamento di linea rispetto ai Trattati intollerabile per la Germania. La presenza di questi paesi pone un dilemma insolubile. Per procedere nella costruzione europea va affrontato il problema accantonato a Maastricht, ma ineludibile, della istituzionalizzazione di una qualche sovranità fiscale «esterna» agli Stati dell’euro, con poteri discrezionali di intervento, per contrastare crisi di domanda.

La presenza di paesi di grandi dimensioni, in cui la domanda interna ha un ruolo importante, refrattari al riorientamento radicale richiesto dal modello tedesco, esigerebbe un orientamento di fondo di questo «decisore» fiscale inaccettabile per l’ordoliberismo. Per di più quest’area mediterranea potrebbe sempre trovare un certo sostegno nella Francia, regione «anfibia». La soluzione drastica del dilemma sta nell’uscita, per l’appunto «concordata», di questi paesi.

Quindi, il progetto implica un cerchio interno; e intorno vari cerchi periferici. «L’Europa a due velocità» non è un’Europa ristretta, è un’Europa allargata, ma «gerarchizzata». Il «cerchio interno» omogeneo – economicamente, ma anche politicamente – poi un’area dei paesi di dimensioni rilevanti che sono stati gentilmente invitati a risolversi propri problemi da soli; che poi domani si vedrà.

E l’area ulteriormente «periferica» degli altri paesi, tra cui gli ex-paesi socialisti. Ma tutti «dentro» il grande spazio.

Ridefinendo così anche il problema del rapporto con gli Usa implicito nelle trattative sul Ttip. Avendo «omogeneizzato» il nucleo interno europeo, ciò renderebbe più facile trovare un punto di mediazione tra il liberismo anglosassone e l’ordoliberismo germanico; che è la questione di fondo più spinosa sul tavolo. Senza interessi divergenti, e senza quinte, seste e settime colonne dell’amico americano a confondere le trattative.