Per alleggerire il clima, c’è chi ha evocato la possibilità che David Cameron, che ha del resto l’età adatta, avesse in testa Hotel California degli Eagles: «You can check out anytime you like, but you can never leave». Al governo conservatore britannico, difatti, piacerebbe avere la possibilità di un semplice check out, ma senza lasciare per sempre l’Ue, che per Londra significa mercato unico e passaporto finanziario.

Non è la posizione dei partner. Almeno, al di là delle crepe che già sono venute alle luce in queste ore confuse, è la posizione ufficiale delle istituzioni. Ieri sera, David Cameron è stato invitato a spiegarsi sulla sua avventura alla cena del Consiglio europeo a Bruxelles. Stamattina, invece, salterà la colazione, che sarà limitata ai 27 che restano. La Ue chiede a Cameron, che partecipa al suo ultimo summit europeo, di chiarire i movimenti di Londra: in sostanza, quando verrà attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona? Cameron continua a insistere: la Gran Bretagna vuole «un processo il più costruttivo possibile», perché «naturalmente lasciamo l’Ue, ma non dobbiamo voltare le spalle all’Europa, questi paesi sono nostri vicini, amici, alleati, partners».

Cameron, che lascerà al suo successore, non prima di settembre, il compito di negoziare, punta a «una relazione più vicina possibile», nei campi del «commercio, cooperazione e sicurezza». Per il momento, la Ue tiene duro. Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione: «nessuna notifica, nessun negoziato», e soprattutto ha dato l’assicurazione che non ci saranno «negoziati segreti», visto che i sospetti crescono.
Donald Tusk, presidente del Consiglio Ue: «Siamo pronti ad attivare il processo già oggi». La cancelliera tedesca Angela Merkel al Bundestag, prima del Consiglio: «Farò in modo che il negoziato non diventi una cernita, bisogna che ci siano differenze sensibili tra un paese che vuole far parte della famiglia della Ue e chi non lo vuole. Chi esce dalla famiglia non può aspettarsi che tutti i doveri scompaiano e che vengano mantenuti i privilegi».

Manuel Valls, primo ministro francese di fronte all’Assemblée: «Non è il partito conservatore britannico che deve imporre l’agenda» alla Ue. François Hollande: «tocca al Regno unito fare il primo passo, solo dopo il negoziare può iniziare». In mattinata, l’Europarlamento ha votato (395 a favore, 200 contro, 71 astensioni) per l’attivazione «rapida e coerente della procedura di revoca». In altri termini, «immediatamente», per «evitare incertezze che sarebbero pregiudiziali e per proteggere l’integrità della Ue». Martin Schultz, presidente, auspica un «chiarimento» sul calendario e negoziati «nel rispetto reciproco». Tensioni all’Europarlamento, tra Nigel Farage dell’Ukip e Juncker: scambio di battute, tra «cosa fa ancora qui?» e «17 anni fa avete riso di me, adesso nessuno ride più», con la minaccia «dopo la Gran Bretagna ce ne saranno altri».

Il testo approvato nella serata di lunedì a Berlino, in seguito all’incontro tra Merkel, Hollande e Renzi, insisteva su due punti: «Non c’è tempo da perdere» e «l’Ue è abbastanza forte per dare oggi le buone risposte». La confusione regna. Oggi arriva a Bruxelles Nicola Sturgeon, prima ministra della Scozia, che vuole mantenere le relazioni con la Ue, visto che gli scozzesi hanno respinto il Brexit a grande maggioranza. Da Londra, il sindaco Sadiq Khan, vuole più «autonomia» e una sedia al tavolo del futuro negoziato del Brexit, perché «rimanere nel mercato unico è una priorità» per la capitale. Sadiq Khan rassicura: «Non voglio mettere una frontiera sulla M25».

Tusk, inaspettatamente, è stato l’unico a rivolgersi ai sentimenti nella difficile giornata di ieri: «Il Brexit non è solo una procedura, politica e di interessi, ma coinvolge anche emozioni e sentimenti». Comunque, per il presidente del Consiglio Ue, «quello che è stato è stato, adesso dobbiamo andare avanti con l’agenda regolare».

Ma la Ue perde il pelo, ma non il vizio. L’agenda sarà lenta. Tusk propone un «summit straordinario» a settembre, per «mettersi d’accordo su dei progetti concreti da realizzare in Europa nei prossimi sei mesi per la crescita e la sicurezza».

Il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi appoggia l’idea: «Questo non è il momento delle divisioni ma della visione della Ue, siamo pronti a fare di tutto per la sicurezza». Angela Merkel vede tempi buddisti: «L’obiettivo è arrivare a un risultato comune per il sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, nel marzo 2017».

La Ue ha incassato ieri la rassicurazione del primo ministro danese, Lars Loekke Rasmussen: Non seguiremo la Gran Bretagna». L’Estonia ha messo in guardia: «Nessuna rivincita». Pragmatico, il primo ministro bulgaro, Boris Borissov, ha fatto i conti in tasca alla Gran Bretagna mercantile, accusando i facili populismi: «In una notte il Regno unito ha perso circa 20 volte il valore dei suoi contributi al budget dell’Unione europea», uno degli argomenti della campagna del Brexit.