Intellettuale à la page, affabulatore multimediale, variamente scrittore-saggista-critico musicale-conduttore televisivo-pianista-sceneggiatore-regista, proprietario, animatore e docente di una scuola privata per aspiranti neo Salinger 2.0: non mancano le credenziali ad Alessandro Baricco – teorico del barbarico che avanza – per parlare di scuola, insegnanti e disegno di legge del suo amico Matteo Renzi. Dal pulpito radical chic di Repubblica delle Idee 2015, ça va sans dire.

La premessa epistemologica del ragionamento di Baricco è questa: essendo i paradigmi dell’esperienza profondamente mutati – multitasking e surfing i nuovi modelli – i giovani privilegiano gesti e modalità conoscitive in continuo movimento e affastellamento, il cui fine non è una meta da raggiungere, dentro o fuori di noi, ma il movimento stesso.

E la scuola pubblica italiana contemporanea, lungi dall’essere capace di cavalcare in superficie l’onda della barbarica modernità – governandola – si ostina a voler infilare gli studenti nella profondità del lavoro di scavo e della ricerca di senso, poco utile e per nulla dilettevole.

Metaforicamente, ci dice, un crepaccio. Mortifero. Che va evitato percorrendo nuove strade. Più orizzontali che verticali, più accessibili che profonde, più facili, stimolanti, originali, veloci, divertenti che faticose e complesse.

Lo strumento perfetto cui la scuola dovrebbe ispirarsi, suggerisce il professor Baricco, è il videogioco, più utilmente articolato e impegnativo sotto il profilo formativo delle tradizionali operazioni con mele e con pere, come sa per esperienza di padre.

Il modello è quello anglosassone in cui, ci spiega, il docente registra una lezione perfetta, che i ragazzi guardano a casa. L’esempio, aggiungerei per completezza del ragionamento, potrebbe essere quello di Renzi e Orfini inebetiti davanti a un videogame con il pad della playstation in mano, nell’attesa dei risultati delle ultime elezioni regionali.

La scuola ideale, secondo Baricco e i cantori delle magnifiche sorti e progressive del digitale, è quella che elimina l’insegnante e, insieme, altre cose inutili e superate, come la divisione in materie e classi. Baricco è in buona compagnia: anche la senatrice Puglisi, responsabile Istruzione del Pd, dal suo blog invoca il superamento della logica additiva delle discipline al grido di basta lamentismo, e addirittura Luigi Berlinguer, meritocraticamente titolato a discettare vita natural durante di teoria e prassi dell’istruzione in Italia proprio in virtù delle sue leggi, responsabili del declino di scuola e università nell’ultimo quindicennio, ci rimprovera per le nostre lezioni ex cathedra, i programmi, le materie, i percorsi, e finanche, dalle pagine del Corriere, per l’arcaicità della motivazione educativa.

Che dire? Da Gramsci, Calamandrei, don Milani e dall’idea di una scuola in cui proprio attraverso la fatica dell’impegno collettivo e cooperativo si diventa cittadini istruiti, a Baricco, Berlinguer, Puglisi, portatori di un’idea di scuola che promuove – divertendo beninteso – l’autismo.

Gli epifenomeni della società dello spettacolo colpiscono anche qui, a scuola, ultima trincea delle forme di sapere logico-critiche complesse che si stanno perdendo, estrema difesa dall’iperstimolazione sinestetica superficiale digitale assurta a totem dei nostri tempi, che aggrega informazione e nega la conoscenza, la profondità, l’empatia, la compassione, la contemplazione, il tempo.

Se fai una lezione in corpore vili ma non proponi un ‘evento’ sei out. Se parli e leggi un libro ma non sfoderi un tablet o un iPad sei out. Se guardi negli occhi e ascolti i tuoi studenti ma non sei connesso sei out. Se stai in classe ma non sei sui social sei out. Perché, come ci spiegano gli epifenomeni, se hai gli attributi ma non hai l’accessorio sei out.