In questi giorni è in sala  Seconda Primavera, il nuovo film di Francesco Calogero che arriva a distanza di anni dal precedente Metronotte (2000). Ma fare un cinema non conformista, ispirato (e guidato) dal desiderio non è mai facile, in Italia meno che mai, e il regista siciliano (è nato a Messina) è indipendente sin dai suoi esordi, un’indipendenza la sua che non è solo questione di budget ma di testa e di cuore.

 

 

Torniamo un poco (un bel po’) indietro, al suo primo film in quelle «nuove onde» nazionali di fine anni Ottanta e inizi anni Novanta che cominciavano a affiorare. La gentilezza del tocco (1987), quasi un thriller sul mistero di una recensione musicale troppo benevola, rivela uno sguardo «strabico» rispetto al nostro cinema, anche quello giovane appunto, e alla tradizione nazionale (la commedia) predilige riferimenti classici hollywoodiani e passioni cinefile cercandone le corrispondenze nel paesaggio italiano. La «sua» Sicilia non è quella di mafie, piovre e cartoline, ma nelle immagini Calogero trova una corrispondenza con l’«aria del tempo» e le sua irrequietezza. Da allora ci sono stati altri film ma quel suo «tocco» speciale lui l’ha mantenuto anche a costo di grandi sforzi produttivi – Seconda primavera lo ha realizzato con la sua società, Polittico, e in sala arriva grazie a una piccola distribuzione, la Mariposa.

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La storia è una storia d’amore: una donna e un uomo declinati nelle possibili variazioni narrative e di vita, che da questo semplice binomio di partenza si spalancano attraverso l’immaginario. Siamo nella fantasmagoria di Vertigo – La donna che visse due volte (qui bruna però) ed è solo il rimando più evidente nella trama di citazioni che un cinefilo raffinato quale è Calogero riesce a tessere senza eccessi retorici né esibizioni di stile.

 
Protagonista è Andrea (Claudio Botosso) architetto cinquantenne che il dolore – e i sensi di colpa – per la perdita della moglie e della bimba che aspettavano hanno reso una persona senza più interessi. Finché nella sua vita entra Hikma (Desiree Noferini) ventenne bellissima che gli ricorda la moglie scomparsa. E quando la ragazza si scopre incinta torna insieme a lei e al suo compagno nella villa che aveva costruito e abitato diviso con Sofia, la moglie. Tutto si complicherà, perché le storie dei personaggi intorno all’uomo sfuggono al suo desiderio (seppure morbido) di controllo, al suo impulso di «organizzarne» le vite come fa con i plastici dei suoi progetti.

 

 

I sentimenti sono più scomposti delle linee, i suoi per primi sembrano essere molto volatili, e i desideri «reali» stridono con i fantasmi che abitano il meraviglioso giardino della villa. Tradimenti, insofferenza, malumori, paure, momenti di profonda felicità: chi è Hikma sulla quale l’architetto proietta sempre di più all’immagine della moglie? E chi sono tutti gli altri, Rossana (Anita Kavros), quarantenne fragile lasciata dal marito, Andrea (un saggio Nino Frassica), che «le cose le ho fatte prima dei cinquant’anni e ora non sogna avventure e ragazze più giovani quasi come il riscatto del tempo passato

 
L’amore dunque e il suo mistero,le esistenze umane che sono come le stagioni estate, autunno, inverno, primavera che scandiscono il film, fino alla seconda primavera (quasi come un film di Kim Ki-duk), speranza di rinascita. Nel movimento dei sentimenti quegli uomini e donne diventano una sola coppia: l’essenza della relazione amorosa nei diversi passaggi, tenerezza e disillusione rabbiosa, obiettivi non condivisi e rimpianti ricomposti, senza svelarne l’imprevedibilità. E cosa è più difficile che toccare un materiale eterno, punto di partenza di ogni storia quale è la relazione amorosa?

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Che Calogero sospende nel vuoto, trasforma in una danza, in una specie di vertigine specchio di ogni esistenza.
Una sfida, forse non sempre capace di trovare la sua misura, e che però in un gesto di scompiglio porta con sé la bellezza di un mistero. Il cinema?