José Antonio Maravall identificava il tratto più distintivo della cultura barocca nel bisogno di disciplinare ogni aspetto della vita. Il Seicento è stato davvero una delle stagioni più travagliate della storia e, in fondo, quel diffuso desiderio di controllo può essere interpretato come l’estremo tentativo di restituire ordine alla destabilizzazione dei nuovi saperi sgorgati dalla Rivoluzione scientifica di Galileo e Newton. Mai come in quel secolo tutto fu sottoposto a normalizzazione (dalle etichette di corte all’Indice dei libri proibiti) e ogni sregolatezza fu censurata.
Ma, come si dice, dove c’è luce, c’è ombra. Va da sé che dèstino non poco interesse tutte le testimonianze di trasgressione a quell’invadenza. Queste vanno per convenzione sotto la categoria di libertinismo. Una definizione di comodo costruita a posteriori per ricondurre a un concetto univoco una realtà altrimenti molto variegata, ma in cui ben si incontrano tutte le rivendicazioni di libertà manifestatesi nel corso del secolo. Era tempo di Inquisizione e dura repressione. Per istinto di sopravvivenza, i libertini furono conformisti col mondo e ribelli tra le pareti di casa, e trovarono un rimedio all’insoddisfazione nell’ironia, uno spazio vitale per la libertà nella satira. Il libertinismo barocco espresse, quindi, una cultura sotterranea e fondata sulla cautela, trasmessa oralmente e comunque strategicamente nascosta.
La verità della scienza
Vede ora la luce da Einaudi un libro che si propone di offrire ulteriori spunti per la ricostruzione di questo oscuro capitolo della cultura italiana, dal titolo L’arte del dissenso Pittura e libertinismi nell’Italia del Seicento. («Pbe», pp. 250, euro 28,00). Nella convinzione che la Chiesa non riuscì a fare tabula rasa di realtà intellettuali eccentriche, Dalma Frascarelli, docente presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, avanza l’ipotesi che sia esistita una declinazione del libertinismo anche nel campo delle arti figurative. La domanda è lecita: chi subiva il fascino dell’autodeterminazione intellettuale collezionando tutti i libri messi al bando, faceva le stesse scelte antidogmatiche anche nell’arredo di casa? Se la nuova verità, quella messa in campo dalla scienza, era misurabile con l’occhio, allora è pacifico pensare che anche l’arte sia stata veicolo di eversione.
Da questi presupposti prende le mosse la supposizione, tutt’altro che peregrina, che quella particolare forma di resistenza non si limitò alle sole fonti scritte e che la pittura divenne una sorta di porto franco del libero pensiero. Laddove l’Inquisizione rastrellava ogni forma di opposizione, le immagini sfuggivano, per la loro ambiguità, a quei controlli e consentivano rivendicazioni rimaste impunite. Idee appena sospirate vis-à-vis, soltanto accennate su carta trovavano rifugio più sicuro nell’arte, che si rendeva portavoce di esigenze di libertà altrimenti impraticabili.
L’arte privata è così equiparata a quella pubblica. L’idea di fondo è che la pittura da quadreria, in particolare quella di genere, non fosse necessariamente arte di disimpegno, non solo semplice arredo esteticamente apprezzabile. Quanto l’arte ufficiale si esprimeva attraverso forme di grande chiarezza per rendere efficace la propaganda, tanto quella libertina, élitaria e anarchica, fondava i suoi ideali su un universo speculare, celando i suoi messaggi eversivi nella metafora. Si offrono così oggi meno esplicite ma intatte, a differenza di quelle scritte, testimonianze figurative pronte a essere lette come «libri aperti».
Con il proposito di recuperare in maniera organica la cultura di un’epoca riconnettendo sfere di sapere che solo i posteri hanno scontornato e reso incomunicanti, Dalma Frascarelli riprende un’intuizione di Luigi Salerno circa l’esistenza di una «corrente del dissenso» nella pittura italiana del Seicento. Ma lo fa in maniera più compiuta, con alle spalle anni di ricerche sull’argomento e forte di tutte le novità maturate nel frattempo.
Il discorso non è frantumato nel resoconto dei destini individuali e con le solite interpretazioni che spiegavano le stranezze degli artisti con la nefasta influenza di Saturno e un’insostenibile dissidenza protoromantica. L’attenzione è invece tutta puntata sul collezionismo – e quindi sulle opere – alla ricerca di riscontri, anche solo parziali, tra le idee del tempo e le scelte operate in pittura. Tra i capitoli del libro trova spazio una puntuale ricognizione di documenti e quadri. Le immagini e le parole si sostengono a vicenda nel confronto tra inventari di gallerie e biblioteche.
L’analisi delle strategie del dissenso ha condotto a notare come fu a partire dal Seicento che in pittura l’eros fu sottratto alla morale, l’antico alle reinterpretazioni cristiane e il divino fu caricato di ambiguità. Questo ben si verifica nelle tante eroine del sacro, nude e voluttuose eppure ineccepibili ai sensi della dottrina, e nei tanti eroi del profano pronti a preferire il vizio alla virtù.
Il mito è spesso ricondotto a un complesso di valori laici, reinterpretati con gli occhi dell’insoddisfazione presente. Tanto per limitarsi a qualche esempio, si richiama all’attenzione il tema dell’amore tra Venere e Marte. Questo è liberato di ogni sovrastruttura neoplatonica ed è riletto per quello che era, un episodio di infedeltà coniugale, con in più un sapore di divertito erotismo alla Giovan Battista Marino. Esemplare di un diffuso relativismo è il caso di Circe. Da simbolo oscuro e negativo questa si trasforma in modello positivo. Il motivo è presto detto. Mutando i marinai di Ulisse in animali, la maga omerica è l’unica a concedere loro una felicità possibile. È la concretizzazione della critica all’antropocentrismo che tanta parte ebbe nell’immaginario libertino. Trovano così ragione molte questioni ancora irrisolte nella storia della pittura e la perdita di centralità dell’uomo diventa una possibile spiegazione alla dilagante pittura di genere nel Seicento.
lI cielo di Adam Elsheimer
Un capitolo di grande interesse racconta, poi, della diffusa fascinazione della cultura barocca per la figura del filosofo. Questi incarnava l’anticonformismo per eccellenza, figurandosi come alter ego dello scienziato, cioè colui che rifiutava il pregiudizio coltivando il dubbio. Proprio in omaggio agli eroi della nuova civiltà l’arte diventò permeabile alle scoperte scientifiche e se ne intestò la diffusione. Fanno capolino nel volume la Fuga in Egitto di Adam Elsheimer (Monaco, Alte Pinakothek) e l’Immacolata Concezione del Cigoli (Roma, Santa Maria Maggiore), prime rappresentazioni documentate di un cielo astronomicamente aggiornato.
L’arte del dissenso costituisce uno stimolante tentativo di svestire la storia dell’arte di pregiudizi sedimentati e dimostra che lo sterminato universo della pittura barocca ha ancora molto da dire. Coglierne le suggestioni e gli spunti sarà lavoro per molti. Nel caso specifico, risulta evidente che il libertinismo fu un punto nodale tra Rinascimento ed Età dei Lumi. Dalma Frascarelli punta l’accento sulla continuità tra le due epoche e di rimando la sua rilettura impone una revisione in chiave anticipatrice dell’arte barocca su quella illuminista. Valga, per tutti, l’accenno al tema iconografico della morte del filosofo, costruzione di un modello di virtù civile che soppianta i valori religiosi e precorre tanta pittura politica del XVIII secolo, da Jacques Louis David in poi.
In questi termini, davvero il Seicento fu il secolo che inaugurò la modernità. Non stupisce che sia la pittura a rivelarlo.