Alberto è un pensionato romano di 70 anni, residente nel quartiere della Montagnola, periferia residenziale un tempo relativamente benestante e oggi partecipe del generale declino economico cittadino. Da quarant’anni abita in una casa di proprietà del Monte dei Paschi di Siena, in affitto a mille euro al mese. Tre anni fa la moglie è stata licenziata ad un anno dalla pensione. Grazie alla Legge Fornero dovrà aspettare altri cinque anni. La pensione di Alberto, 500 euro scarsi al mese, non gli consente di fare fronte autonomamente al canone di locazione.

Nel giro di poco tempo sono diventati morosi e la proprietà ha cominciato l’iter dello sfratto, che va avanti da due anni, con gli accessi quasi mensili dell’ufficiale giudiziario e continui rinvii ottenuti grazie alla mediazione di alcuni enti municipali. La moglie, nel frattempo, per non gravare economicamente sul nucleo, è andata a vivere dalla figlia in Francia. Lui al momento è rimasto: non è facile abbandonare il proprio quartiere, le amicizie, i luoghi di una vita, a 70 anni. La banca è proprietaria di tutto il palazzo. Ci sono stati altri sfratti che negli anni sono stati eseguiti e gli appartamenti sono tutt’ora vuoti. Alberto non è rimasto però ad attendere la propria sorte: ha fatto domanda di casa popolare e ancora aspetta l’inserimento in graduatoria; ha richiesto la «morosità incolpevole» per via del licenziamento della moglie, ma la domanda è stata rifiutata in quanto nel nucleo «è presente un pensionato»; ha fatto richiesta di essere ospitato in un Centro di assistenza alloggiativa (residence), e gli è stato risposto che al momento non c’erano posti disponibili; infine, ha accettato la proposta del Comune del “buono casa”. La domanda è stata accolta e sono in graduatoria. Da qualche mese è iniziata la ricerca di un appartamento per poter usufruire del buono, ma nessun proprietario si fida ad affittare con la garanzia del Comune di Roma. A metà marzo ci sarà l’ennesimo tentativo di accesso dell’ufficiale giudiziario.

Fatima (il nome è di fantasia), 38 anni, libica, vive con il marito e tre figli minori, di cui uno nato a dicembre scorso, in zona Ostiense a 1.400 euro mensili di affitto. In Libia la sua casa è stata bombardata durante la guerra e nel bombardamento una delle figlie ha riportato gravissime ferite e ustioni sul corpo. Sono venuti in Italia nel 2012 per cure mediche alla bambina che ha subito molti interventi e ne dovrà subire altri. L’ambasciata libica ha provveduto a tutte le spese fino a marzo 2014, quando ha deciso di sospendere i pagamenti. Da allora risultano morosi ed è iniziata la procedura di sfratto. Vista la particolarità del caso, l’attività già lacunosa dell’assessorato alle Politiche abitative procede con disarmante lentezza. Da due anni si prosegue con rinvii mensili per gli accessi dell’ufficiale giudiziario. Fatima ha paura di tornare in Libia, teme ripercussioni in un paese tutt’altro che pacificato, con l’ennesima guerra alle porte. Le agenzie municipali si sono attivate per far rientrare il nucleo nel sistema di accoglienza, in coda per una sistemazione in un centro Sprar. I tempi burocratici sono però lunghi, e il prossimo accesso dell’ufficiale giudiziario è previsto a fine marzo.

C’è poi la vicenda di Maria Severina, 80 anni, da una vita residente nel cuore della città povera oggi gentrificata, il Pigneto. Dopo quarant’anni di regolare affitto, nel 2007 il contratto cessa. Il (piccolo) proprietario vuole tornare in possesso del proprio immobile, Severina una soluzione che non la sbatta in mezzo a una strada. Per quasi dieci anni la vicenda va avanti con il Comune che intercede prolungando la permanenza senza però indicare soluzioni alternative. Da qualche tempo però la situazione è precipitata, e l’ufficiale giudiziario si è presentato alla propria porta l’ultima volta lo scorso 8 marzo. Duecento persone accorse da tutta la città hanno difeso il diritto di Severina a continuare a pagare un affitto possibile per la propria pensione. Oggi continua a pagare circa 300 euro, vorrebbe continuare a pagare ma non può farlo: il proprietario vuole – anche giustamente – tornare in possesso della casa, e il Comune non riesce a trovare una soluzione definitiva. Dieci anni di incertezze, di paure, di precarietà abitativa ed esistenziale. L’ufficio parlamentare di Sinistra italiana ha eletto domicilio dell’ufficio presso l’abitazione della signora, consentendo così una sospensione temporanea della procedura di sfratto, rimandata all’11 aprile. Il futuro non è più lungo di qualche settimana, per gli sfrattati romani.

Piccole storie, queste appena raccontate, capaci di racchiudere il senso delle politiche abitative romane degli ultimi decenni. Ognuna di queste storie ci racconta del fallimento delle politiche abitative. Che siano ceti medi impoveriti, ceti popolari senza assistenza sociale né autonomia economica, pensionati marginalizzati o migranti espulsi dalla città vetrina, il filo rosso che le collega è la mancanza di strategia nell’affrontare una questione sociale incancrenita da decenni di collusione politica o semplice immobilismo colpevole. È davvero l’ora di dare risposte a chi abita la città.