È stata inumata ieri al cimitero Troekurovskij di Mosca la salma di Boris Nemtsov, dopo essere stata esposta al Centro Sakharov, dove alcune migliaia di persone, tra cui gli ambasciatori di tutti i paesi Ue e degli Stati uniti le hanno reso omaggio.

Alle esequie erano presenti circa seicento persone; insieme ai parenti, c’erano l’ex premier Mikhail Kasjanov, copresidente, insieme al defunto, del Partito Repubblicano e Anatolij Chubajs, con cui Nemtsov aveva condiviso, nei primi anni ’90, le maggiori scelte eltsiniane delle privatizzazioni e delle riforme cosiddette liberali.

Alla richiesta, avanzata dai compagni di opposizione di Nemtsov, di intitolargli una strada di Mosca, il municipio ha risposto che, secondo le regole, ciò è possibile solo dopo 10 anni dalla morte.

Intanto, vari media avanzano dubbi sulla posizione della 23enne Anna Duritskaja, da tre anni compagna di Nemtsov e insieme a lui al momento del delitto, la quale, dopo una iniziale amnesia, aveva detto di ricordare soltanto l’improvvisa comparsa, alle spalle della coppia, del sicario, senza averlo visto in faccia.
Duritskaja ha ricevuto ieri il permesso di lasciare Mosca e far ritorno in Ucraina, rimanendo comunque a disposizioni degli investigatori.

La ragazza ha rifiutato il programma di protezione propostole dal Comitato per le indagini; evidentemente, a Mosca sembrano non essere del tutto sicuri della sua incolumità in patria e questo dice qualcosa sulla direzione principale dei sospetti – direttamente in Ucraina?

Oppure per il suo tramite, per vendicarsi del riparo offerto dalla Russia a Edward Snowden? – pur se, ufficialmente, nessuna pista viene trascurata.

E i contorni internazionali della vicenda si arricchiscono della risposta data ieri dal Ministro degli esteri russo Serghej Lavrov alle dichiarazioni rilasciate da Barack Obama. Il Presidente Usa aveva detto lunedì che l’assassinio di Boris Nemtsov riflette «l’incrudelimento nelle restrizioni delle libertà civili in Russia».

Pur ammettendo di non avere idea delle circostanze del delitto, tuttavia «le libertà di parola, di riunione, di informazione, i diritti civili e le libertà fondamentali in Russia sono oggi significativamente peggiori di cinque o dieci anni fa», aveva detto Obama, forse pensando alla polizia americana, che nelle stesse ore stava uccidendo a sangue freddo un senzatetto a Los Angeles.

Tagliente la risposta di Lavrov: «che le parole di Obama rimangano sulla sua coscienza»; e poi con ironia non proprio sottile ha aggiunto che «probabilmente non hanno fatto in tempo a scrivergli il discorso e lui, da solo, non è in grado di formularlo in maniera degna».

Quanto ai diretti interessati, chiamati in causa da Obama, il Centro Levada rilevava lo scorso 27 febbraio – alla vigilia della marcia anti-crisi programmata dall’opposizione e trasformata in corteo funebre dopo l’assassinio di Nemtsov – che il 58% dei russi ritiene forse necessaria l’opposizione.

Ma solo un terzo concordava con gli slogan della marcia e appena una piccola percentuale riteneva che l’opposizione fosse destinata ad andare al potere.

Se prima dell’omicidio appena il 10% degli intervistati pensava di partecipare alle manifestazioni dell’opposizione, ora i sociologi si dividono tra chi pensa che la situazione non cambierà e chi invece si attende una crescita della partecipazione, spinta da un effetto psicologico, anche se non si possono trarre conclusioni basandosi sulla partecipazione al corteo funebre di domenica scorsa.

In ogni caso, l’opinione generale è che non siano in vista proteste di massa come quelle del 2012 o degli anni 2008 e 1998: nessuno avverte ancora in modo acuto le avvisaglie della disoccupazione e dell’inflazione.

La situazione potrebbe essere un po’ diversa nelle periferie: qui non si esclude la possibilità di un intreccio tra proteste economiche e politiche, anche per la identificazione dei responsabili della situazione negli amministratori locali.

Per questo, se in città come Mosca, i leader dell’opposizione quali Navalnyj, Kasjanov o il defunto Nemtsov possono ricevere la simpatia del 18% degli intervistati, nelle provincie tale percentuale precipita al 2%.