Nato 66 anni fa in Cile, Luis Sepulveda non ha bisogno di presentazioni. Scrittore, giornalista, sceneggiatore, regista, ha al suo attivo una vasta produzione letteraria che riflette la lunga stagione d’impegno e d’avventura. Nipote di un anarchico andaluso fuggito in Sudamerica per evitare la pena capitale, ha fatto parte del Gap, la guardia personale del presidente cileno Salvador Allende.

Durante il golpe dell’11 settembre ’73 si trovava nel palazzo della Moneda, dove Allende scelse di morire. Venne arrestato e torturato. Liberato per l’intervento di Amnesty international, finì nuovamente in carcere e, dopo una condanna all’ergastolo, fu costretto all’esilio. Nel ’79 partecipò alle Brigate internazionali Simon Bolivar, in Nicaragua. Dopo la vittoria della rivoluzione sandinista, si trasferì in Europa per continuare l’attività di giornalista. Nell’82 partecipò all’attività ecologista di Greenpeace.

Com’è stato il 2015 per Luis Sepulveda?
E’ stato un buon anno, soprattutto per la stima e l’affetto che continuo a ricevere dai miei lettori. Sono felice dell’accoglienza che hanno avuto in Italia i miei ultimi libri, Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà, che tocca il tema dei nativi mapuche e L’avventurosa storia dell’uzbeko muto, pubblicati entrambi da Guanda. Ho anche finito di scrivere il prossimo romanzo, Kosak, a cui ho lavorato per tre anni. Racconto una storia che inizia nel 1919 con la rivoluzione russa e termina in Cile nel 2005.

Il 2015 è stato un anno di elezioni in America latina, segnato soprattutto dal ritorno delle destre in due paesi-chiave, Argentina e Venezuela.

Si tratta di due situazioni politiche molto diverse. In Argentina, Mauricio Macri ha vinto le elezioni con un discorso distruttivo, teso a negare tutte le conquiste realizzate dal governo precedente e a instaurare un governo neoliberista sul modello cileno. La mancanza di unità della sinistra è responsabile del trionfo di Macri. In Venezuela, la destra golpista e non golpista ha vinto le elezioni parlamentari e quel che ora è in gioco è la credibilità e la capacità di Maduro. Evidentemente Maduro non è Chávez, non ha lo stesso carisma e non ha saputo continuare in modo efficace il cammino aperto da Chávez, in un contesto di crisi caratterizzato soprattutto dalla drastica caduta del prezzo del petrolio. Negare i problemi che esistono, in nome della rivoluzione, non è la strada migliore.

In Cile, rappresentanti delle destre e del centro-sinistra moderato hanno difeso i golpisti venezuelani, suscitando l’indignazione di Pablo Sepulveda Allende, nipote del presidente socialista. E sul Venezuela, la famiglia Allende si è divisa. Qual è la sua opinione?
Io credo nel principio di non ingerenza negli affari interni dei paesi, mentre nei confronti del Venezuela sono molti i paesi dell’America latina e dell’Europa, oltre ovviamente agli Stati uniti ad aver fatto il contrario e ad appoggiare il golpismo. Così, in Cile, oltre alle voci di destra, si sono levate quella della senatrice Isabel Allende, figlia di Salvador Allende e quella di Juan Pablo Letelier, figlio di Orlando Letelier, l’ex ministro degli esteri di Allende assassinato da Pinochet negli Usa: per chiedere la liberazione di Leopoldo López. Non è strano, in Cile c’è un governo diretto da Michelle Bachelet, un’esponente di quel cosiddetto “centrosinistra” che tiene molto a stare nel campo dei vincitori.

Macri in Argentina ha minacciato le Madres de Plaza de Mayo e promesso impunità ai repressori della dittatura. Come vittima di Pinochet, teme un ritorno indietro sul tema della memoria e su quello dei diritti umani?
Le misure del governo Macri sono preoccupanti, rappresentano un enorme passo indietro per la società argentina. Sono già stati liberati alcuni criminali in attesa di giudizio, la svalutazione della moneta argentina ha provocato un forte aumento dei prezzi, per non parlare della riduzione delle pensioni. Quel 51 % di argentini che ha votato per Macri avrà molto su cui riflettere.

Il 2015 è stato un anno difficile anche per Dilma Rousseff in Brasile: per debolezza del Pt o per le manovre della destra?
Entrambe le cose. Come uomo di sinistra sento che manca una severa autocritica da parte della sinistra brasiliana. La negazione dei problemi non può essere l’unico discorso della sinistra.

Dal Brasile al Cile, dall’Argentina al Guatemala, in tutta l’America latina il tema della corruzione risulta centrale, ma evidenzia anche l’uso politico della magistratura, a livello interno e internazionale. Come vede la questione?
Non lasciamoci ingannare, solo in due paesi dell’America latina vi sono governi che, dal mio punto di vista, possono essere considerati di sinistra, in Bolivia e in Ecuador. Nonostante siano parte del mondo globalizzato, di una economia globale determinata dalle imposizioni del mercato, dalle lobby finanziarie, solamente in Ecuador e in Bolivia i governi difendono gli interessi della maggioranza della popolazione. Nel resto dei paesi, la capacità di corrompere che hanno i grandi gruppi economici ha permeato e pervertito tutti i governi. Tuttavia, c’è una sinistra che resiste, come succede in Cile e cerca di imporre una morale e una etica ai governi. In generale, però, il panorama è abbastanza desolante.

Gli Stati uniti hanno realizzato l’Accordo Transpacifico e ora minacciano le nuove alleanze solidali (Alba, Mercosur, Unasur). L’America Latina torna a essere il cortile di casa degli Usa?
Il mondo intero è il cortile di casa delle grandi corporazioni che detengono il potere, non solo dal punto di vista economico ma anche politico. Accordi come il Tpp sono una dimostrazione dell’enorme potere dei gruppi economici transnazionali. Già nel 1971, all’Assemblea generale dell’Onu, Salvador Allende denunciò il crescente potere dei gruppi economici capace di soppiantare il potere degli stati, in materia economica, politica e militare. Così oggi vediamo trattati che si impongono alle spalle dei cittadini, accordi stipulati in gran segreto, come sta succedendo ora in Europa con il Ttip: un trattato che contempla la creazione di un potere giudiziario parallelo a quello degli stati, e che in caso di cambiamenti sociali obbligherà gli stati a pagare le possibili perdite dei grandi gruppi economici.

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