«Napule ci sta ‘o sole/ Napule ci sta ‘a luna/ Napule c’a pummarola/ Napoli ‘mpise a fune/ Napoli cacata/ Napoli chiavata/ Napoli sfriggiata/ Napule alliccata/ Napule priezza/ Napule allerezza/ Napule munnezza/ Napule a piezz». I fratelli Servillo, Toni e Peppe, tornano in scena per una straordinaria celebrazione della città partenopea, attraverso le poesie e le canzoni che l’hanno resa famosa nello spettacolo La parola canta, accompagnati dal vivo dal quartetto d’archi Solis String Quartet, al teatro La Pergola di Firenze, da domani 4 a domenica 8 marzo. Un concerto e un recital, una festa fatta di musica, poesia e canzoni che celebra Napoli, l’eterna magia della sua tradizione vivente e l’importanza dell’incontro e della più ampia condivisione delle epoche e delle culture. I Servillo rinnovano in scena il loro irresistibile sodalizio artistico dopo le 350 repliche, alla Pergola e nel mondo, dell’eduardiano Le voci di dentro (per cui Peppe ha vinto il premio Ubu 2013 come miglior attore non protagonista), riprendendo uno spettacolo già presentato in anteprima nel 2013 al Festival della Mente di Sarzana con il titolo Cantami una poesia.

Ora, quell’esperimento unico è diventato un vero e proprio allestimento scenico in cui i Servillo Brothers attraversano la tradizione partenopea, da Eduardo De Filippo a Raffaele Viviani, da E. A. Mario a Libero Bovio, fino a voci contemporanee come quelle di Enzo Moscato e Mimmo Borrelli (di cui sono i versi efficaci, crudi e attuali dell’incipit).

Sulla scena, fatta di seggiole e leggii, arrivano tutti insieme, ma spetta a Toni Servillo aprire la carrellata di letture «speciali» sillabando Napule, testo di Mimmo Borrelli. In una felice alternanza che si protrae per tutto lo spettacolo prosegue Peppe, interprete di Guapparia di Libero Bovio. E così ancora per Fravecature di Raffaele Viviani, Canzone appassionata di E. A. Mario, Litoranea di Enzo Moscato, fino alla declamazione del poemetto Vincenzo De Pretore, tratto dalla piéce in cui il grande Eduardo rivisita il paradiso. I due fratelli puntano poi, insieme, sulla forza emotiva di Te voglio bene assaje, come su quella di brani che ormai rientrano nel patrimonio musicale mondiale come Maruzzella o Dove sta Zazà. Il finale è dedicato alle elaborate contaminazioni linguistiche del poeta napoletano Michele Sovente.

Appoggiandosi su questi e molti altri contributi che Toni e Peppe Servillo danno vita a un mondo di fantasia e di creatività scenica in un allestimento teatrale che spazia fra i diversi generi, dalla letteratura alla musica, al teatro, e tocca con la propria curatissima dizione tutti i diversi gradi acustici vocali: da un’intensità forte e marcata, a una lieve e delicata, da un ritmo veloce e incessante a uno lento e appassionato.

Un ritratto in prosa, versi e musica di una città dai mille volti e dalle mille contraddizioni, divisa fra l’estrema vitalità e lo smarrimento più profondo, una città di cui la lingua è il più antico segno, forgiato dal tempo e dalle contaminazioni (da Boccaccio ai 99 Posse).