Una storia fascinosa e contorta, ricca di illuminazioni e di «stranezze», che alla fine si infilza come una stilettata nel cuore dello spettatore. Un diluvio di visioni e di epifanie, che anche a rischio di stordimento, porta elementi di comprensione e di lettura più profonda di una storia, di una città (evidentemente Napoli) e di un’era intera come lo è la fine del secolo scorso, da lasciare trasecolati ma contenti. Bordello di mare con città (al teatro Bellini fino al 6 novembre) è un testo del 1987 di Enzo Moscato, cui fu commissionato dopo la tragica morte di un altro innovativo drammaturgo napoletano, Annibale Ruccello.

Un testo maledetto, praticamente mai andato in scena (a parte una lettura radiofonica curata da Toni Servillo), che ora Carlo Cerciello ha deciso di mettere in scena in coproduzione tra il suo Elicantropo e la Ldf). E in un bordello effettivamente tutto si svolge, diversi anni dopo che la legge Merlin ne decretò la chiusura. Ma in quella «casa chiusa» è rimasta volontariamente rinchiusa davvero una donna. Che ha tramutato quel tempio di piacere e di libidine in un luogo devozionale d’altro tipo. E ancora non appagata, ha pensato di reintrodurre di soppiatto anche l’altra e precedente forma di «oppio dei popoli», cominciando a far miracoli con la guarigione di certe pustole ributtanti disseminate sul corpo delle due «professioniste» della casa, come davvero a fine anni 80 si palesò una nuova peste sessuosociale.

Ma un’altra figura è entrata nel cast domestico, un’elegante signora borghese con una precoce figlia dodicenne. Proprio quest’ultima ha aperto lo spettacolo, dopo un esergo da Emily Dickinson, cantando la sua gioia per l’imminente suo debutto sessuale, in occasione di un altro avvenimento bifronte, la visita di un cardinale a quella casa di misteri e miracoli. Inutilmente l’autore Enzo Moscato, in veste di insaziabile giornalista investigatore cerca di capire la vera realtà della casa, che dalla originaria parete a loculi scuri (già usata da Moscato e Cerciello per Scannasurice) si è trasformata in un trionfale salone in piena luce. Lì si sviluppa l’ampia e violenta allegoria di Moscato, facendo emergere tra i personaggi, con la sua lingua meravigliosa, tutte le colpe più peccaminose della tragedia classica: parentele, incesti, stupri e morte. Ma sempre tutto con tono leggero e visionario, a tratti anche irresistibilmente comico, come il cardinale (Lello Serao) che si abbandona a una performance surreale come neanche le avanguardie storiche hanno saputo inventare.

La casa dei miracoli, non più oscura, scopre attraverso il teatro quello che la realtà (magari raccontata dai giornali) non ci può dire. Sesso, religiosità, ipocrisia, miseria e arte dell’arrangiarsi si mescolano in un impasto esplosivo, fascinoso quanto ributtante, che come una radiografia dai colori elettronici mostra male e bene, speranze e mortificazione, ovvero una condizione di «normale» sopravvivenza di una collettività, o di una città che ha come cuore pulsante quel Bordello di mare. E come splendide conduttrici quelle signore della scena partenopea che ci guidano nella scoperta: Fulvia Carotenuto, Cristina Donadio, Ivana Maione, Sefora Russo e Imma Villa. Signore da cui guardarsi, ad alta pericolosità spettacolare.