Secondo Jean-Luc Godard occorrono due persone per produrre un’immagine. È un esempio ripreso da Nicholas Bourriaud e posto come fondamento della sua teoria sull’estetica relazionale, che è forse una delle tendenze più significative degli ultimi due decenni. In un paesaggio artistico stracarico di opere, dove la forma ludica del vivere metropolitano è l’estetizzazione del quotidiano, forse l’artista, anche come forma di ecologia dell’immaginario, più che creare ex novo dovrebbe dedicarsi a tracciare degli itinerari nell’esistente.
È quello che ad esempio hanno cercato di fare Fabia Molteni, Cinzia Rizzo e Franco Rolle nell’allestimento di Set|Opera, videoinstallazione, inaugurata ieri e che rimarrà aperta fino al 2 ottobre (lunedi – sabato 10.30 – 19/domenica 16 – 19), proposta per la rassegna Area Ricerca Progressiva voluta da Studio Azzurro col fine di ospitare nei suoi spazi, all’interno della Fabbrica del Vapore (in Procaccini 4 a Milano), quegli artisti che si sono formati e hanno collaborato con loro.

Come dichiarato dagli stessi ideatori, il punto focale di Set|Opera è il valore dato alle relazioni. Un movimento in tre atti «ispirato al mutevole fluire della vita», a cui corrispondono altrettante variazioni musicali del tema Vissi d’arte ripreso dalla Tosca: per ciascuno dei movimenti (1: L’incontro e il contatto con ciò che non si conosce – è il livello dell’inaspettato e dell’imprevisto; rappresenta la necessità dell’uomo di perdersi per scoprire il nuovo; 2: La connessione tra gli oggetti disegna cuciture e sinapsi – è una riflessione sulla forma che, nel contatto con altre forme, si apre e si relazione anche con lo spazio che la contiene; 3: Una riflessione sul tempo – che reinventa la sequenza, smonta visivamente gli oggetti e propone una miriade di nuove possibilità) i sei videoproiettori tracciano fosforescenti mappe relazionali sugli oggetti con cui ciascuna delle persone coinvolte (accomunate dall’aver vissuto un’esperienza condivisa con lo Studio – tra queste: Andrea Lissoni; Alina Marazzi; Giuseppe Baresi; Roberta Torre;…) ha scelto per autorappresentarsi.

Una mappa delle connessioni si disegna tra le cose esposte, svelando legami, vicinanze, contaminazioni, rivelando così il senso di un progetto che vuole essere prima di tutto partecipativo piuttosto che basato sull’autorità dell’immagine o la monumentalizzazione dell’oggetto.

E le tracce della storia d’amore mostrataci contengono, come direbbe Epstein, «quel nessun amore aveva contenuto finora: la giusta parte di ultravioletto».
Come si diceva ciò che è significativo è l’itinerario (il movimento, appunto); e che lo spazio espositivo diventi un’occasione di prossimità, una possibilità dove stabilire nuovi contatti, nuove vicinanze tra la gente, ma anche tra presenze e assenze che si incrociano, si collegano e si allontanano in un mutamento continuo.

Un luogo in cui inventare una specie di comunità, dove sperimentare, possibilità relazionali inedite, capaci di creare soggetti in quanto gruppi, intersezioni tra persone.
Riprendendo Bourriaud il significato deve emergere dall’installazione delle forme, da come si correlano l’una all’altra, dal modo in cui si ordinano nello spazio. Non ha più senso rappresentare la realtà, abbiamo oltrepassato la rappresentazione.

Oggi la realtà andrebbe prodotta: non realtà in senso proprio, ma meccanismi che operano come se fossero tali; e un progetto come Set|Opera, per come è stato pensato e realizzato, cerca di fare proprio questo, in quanto accelerazione o condensazione dello scambio interpersonale.