Quando un ordine sociale e simbolico arriva al collasso, la complessità che si configura diviene ancora più urgente da discutere e vale la pena tornarci più volte. Lo pensa anche Irene Strazzeri nel suo libro Post-patriarcato: l’agonia di un ordine simbolico (Aracne, pp. 129, euro 10). Si tratta di una riflessione politica utile ed efficace che fa il punto sul dibattito intorno al post-patriarcato e sul carattere di trasformazione e profonda mutazione che la società post-patriarcale racconta. Accompagnato dalla brillante prefazione di Elettra Deiana, il piccolo volume utilizza categorie della politica e della sociologia connotando la qualità della transizione come contraddittoria e ambigua.

Il tempo in cui siamo immerse e immersi corrisponde infatti a una cifra erratica in cui pur tuttavia persistono patriarcalismi. Attraverso la vita liquida di Bauman e l’intersezione con la riflessione femminista italiana degli ultimi anni, Strazzeri compone la sua analisi seguendo quattro punti: sintomi, passaggi, discontinuità e sfide, parole non a caso declinate al plurale e presenti nel sottotitolo del libro, indicate nella loro semantica e significazione socio-politica. Il suggerimento che proviene dall’etimologia si incontra così con ciò che è la traiettoria del post-patriarcato che per Strazzeri è trasformazione ancora in corso, cioè non ancora compiuta interamente ma di cui sarebbe fondamentale superare lo stallo. Se da una parte vengono riscontrati i fantasmi di antichi retaggi che non esistono più, dall’altra si ribadiscono esiti e ulteriori auspici in questo presente in divenire.

I sintomi, dettaglia l’autrice, sono effetti finali prodotti dalla tangenza di molteplici azioni e reazioni; risultano figurazioni appropriate per dire della crisi sociale prodotta dalla finanziarizzazione dell’economia – che detiene meccanismi e funzionamenti precisi – e dalla vacuità in cui galleggia la cosiddetta democrazia rappresentativa. In questo senso l’agonia è di un ordine che nel suo disfarsi rimane impigliato in alcune forme residuali, ovvero comportamenti spesso individuali o incapacità di assunzione di alcuni tagli che il presente dovrebbe poter indicare ormai senza difficoltà; uno fra tutti è ciò che è accaduto grazie al femminismo.

La fragilità del maschile

Nel tempo della transizione la seconda caratteristica individuata è la fragilità del simbolico maschile, mentre la terza è il tratto performativo dell’esercizio di dominio sul corpo delle donne – come se il patriarcato fosse nel pieno delle sue funzioni regolatrici. I rapporti fra i sessi sono il nucleo della politica post-patriarcale e creano ulteriori collassi all’interno del sistema di potere. Ciò che è avvenuto nel berlusconismo in capo al nesso sessualità-politica ne è l’ulteriore prova.

I passaggi ugualmente descrivono il post-patriarcato e sono riconducibili alla femminilizzazione del lavoro e della società, alla politicizzazione delle donne migranti, nonché alla crisi stessa di un ordine che non detiene più la norma di un’identità. Importante è il nodo che si incontra nelle riflessioni sul «sessismo democratico», di cui lungamente si è occupata anche Anna Simone. Relativamente alla femminilizzazione della società, Strazzeri dedica pagine chiare al tema «lavoro e precarizzazione» che si coimplicano e che molto sono state dibattute dal femminismo. Distillando le varie tesi, anche interne allo stesso dibattito italiano, ci si sofferma su quelle discontinuità che consentono di mettere in luce la frattura del nodo cittadinanza-lavoro causata dall’attuale sistema di produzione: se è vero che vi è stato un ingresso massiccio di donne nel mercato del lavoro, l’economia della flessibilità e della precarizzazione mostra l’ambivalenza dei processi produttivi. Altrettanto dicasi per l’ulteriore fenomeno che vede donne ai vertici e nei luoghi decisionali che assumono logiche maschili abdicando alla propria differenza sessuale. A tal proposito è forse il caso di ripetere che la biologia continua a non essere un destino. In particolare nel dibattito sul lavoro l’ansia di trovare parole adeguate sembra aver segnato i vari posizionamenti. È qui che viene rilanciata la questione del reddito minimo garantito e di quello di auto-determinazione, desiderando al contempo «la sopravvivenza simbolica di uno sguardo femminista sul mondo». Questo del reddito non è un appello, ma «il primo mattone di un edificio post-patriarcale, che rivoluzioni non solo le relazioni tra i sessi ma gli stessi rapporti di produzione in cui essi sono coinvolti», ovvero che consenta il passaggio da «una vita spesa a servire l’economia a una vita spesa a servire la vita».

Problemi di riconoscimento

Infine, numerose sono le sfide su cui ha preso parola la critica femminista e che Irene Strazzeri struttura attraverso una genealogia dei concetti, come quella del rapporto tra femminismi, diritto e violenza, descrivendo di quest’ultima i processi conflittuali – dall’ambito simbolico al sociale – e partendo dal fatto che si tratta di una costruzione sociale della realtà patriarcale. A corroborare le sfide che la complessità di questo presente transitorio impone, vi sono almeno due idee – che sono anche delle pratiche – su cui il libro si sofferma: riconoscimento – inteso nella sua accezione sociologica – e l’autorità femminile. La proposta è quella di un’interrogazione e interazione fra le due a cui Strazzeri rimanda per superare l’agonia del post-patriarcato.