Alla quattro giorni capitolina del Roma Fiction Fest non c’era – a fare le sue veci due star di due produzioni di punta Bellamy Young di Scandal e il bel tenebroso Charlie Weber de Le regole del delitto perfetto – ma l’«ombra» della showrunner Shonda Rhimes e del suo impero televisivo erano ben presenti nell’incontro con il pubblico. Una vera holding formata da una casa di produzione che ha chiamato – con un filo di narcisismo – Shondaland, una biografia appena stampata anche in Italia (L’anno del sì, per i tipi della Rizzoli), che le permette ora di tenere sotto controllo il suo mondo televisivo di cui è stata – ed è tuttora – sceneggiatrice e creatrice.

Facendo un rapido calcolo, la showrunner americana ha distribuito in tutto il mondo circa 600 episodi delle sue fiction, tradotte in una settantina di paesi e solo quest’anno – con le puntate di Scandal, Grey’s anatomy e Le regole del delitto perfetto, ha gestito un budget di quasi 400 milioni di dollari. I motivi di tanto successo? Un abile mix di drama commedia, politically correct e azione. Prendete Le regole… protagonista Viola Davis – prima attrice nera ad aggiudicarsi un Emmy Awards – una serie (qui la Rhimes è «solo» produttrice, mentre il creatore è Pete Nowalk, suo collaboratore storico) capace di scardinare le regole canoniche del procedural drama.

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Ogni stagione – siamo alla terza appena iniziata su Fox – è come un puzzle, scopriamo subito chi è la vittima ma ogni tassello viene riproposto con un alternarsi di colpi di scena, di puntata in puntata. E ogni personaggio ha una sua precisa caratterizzazione. Ad esempio Frank, il factotum di Annalise (Davis), è un personaggio che vive di (poche) luci e (molte) ombre: «Frank – lo descrive il suo interprete Charlie Weber – è un personaggio in cui la linea di demarcazione fra il bene e il male semplicemente non esiste». Weber, spiega Frank: «È un italo americano della classe operaia di Philadelphia. Ho messo a punto il suo carattere proprio frequentando gli operai della città».

Insomma, quello di ShondaLand e della sua creatrice è un pianeta a se stante nel mondo tv, capace di muoversi in più contesti, precipitando nei gorghi della soap opera più strappalacrime e al contempo farsi implacabile osservatorio, degli intrighi nei corridoi della Casa bianca – come ci ha insegnato nelle cinque stagioni fin qui realizzate di Scandal. Serie dove Bellamy Young e sin dall’inizio l’ambiziosa e insicura Mellie Grant, la moglie del presidente tradita e abbandonata dal marito, anche lei così come i protagonisti delle Regole… capace di non fermarsi nemmeno di fronte a un omicidio. «Il segreto di Shonda? Certamente è il modo in cui riesce a inventarsi i personaggi e come riesce poi a gestire le loro storie sul piccolo schermo».

Il colore, l’estrazione familiare o l’età poco le interessano nel momento in cui si mette all’opera per definire una storia e i personaggi: «Non importa proprio chi tu sia – prosegue Young – chi ami o chi hai in antipatia. Shonda vuole che tu ti riveda in quei personaggi in tv, immaginati come fossero delle anime in movimento». Shonda Land si regge soprattutto per il grande numero di «eroine», donne – non ragazzine – con i loro chili in più magari e le loro fragilità mai nascoste.

Storie che hanno in qualche modo cambiato il modo di fare televisione. «Non so se l’abbiano cambiata o meno – ha confessato in un’intervista Rhimes – la realtà è che abbiamo ancora molto da fare prima di rendere la tv il più possibile simile alla vita normale. Qualcuno mi domanda perché questi personaggi sono complicati, si fanno paranoie. Ma io non invento nulla, sono le donne che conosco: mia madre, le amiche, per le quali non scrivo mai parole che sarebbe strano sentire da loro». Un lavoro duro, spiega, in particolare l’inizio di ogni serie: «Terribilmente duro, non sai come sarà accolta e tutto questo ti rende insicuro. Ma con il tempo ho imparato a gestire questa parte complessa del mio lavoro.