Oltre 5mila partecipanti al voto su circa 20mila iscritti dichiarati, oltre il 70 per cento dei sì al quesito proposto dal «comitato politico nazionale» e rimasto graniticamente lo stesso anche mentre a sinistra tutto, o quasi, cambiava. Il referendum interno molto old style di Rifondazione comunista – voto espresso fisicamente in sezione, non ammesso quello telefonico giammai quello attraverso la rete – ha consegnato un regalo di Natale al segretario Paolo Ferrero. Che infatti è contento: «È la seconda volta che facciamo una consultazione. La prima era sulla partecipazione alla lista L’Altra Europa con Tsipras alle scorse europee. Stavolta abbiamo raddoppiato i partecipanti e abbiamo ribadito a larghissima maggioranza che siamo favorevoli al soggetto unitario della sinistra e contrari allo scioglimento del nostro partito». L’oggetto della consultazione, che è durata le prime due settimane di dicembre e si è chiusa lo scorso 19, era il no allo scioglimento del Prc e il sì alla «costruzione attraverso un processo unitario, partecipato e democratico, del nuovo soggetto della sinistra» che «vedrà una prima tappa positiva nella convocazione dell’assemblea del 15/17 gennaio 2016 convocata sulla base del documento “Noi ci siamo, lanciamo la sfida”». Ma qui arriva il primo guaio: mentre il Prc organizza il suo referendum, salta il tavolo unitario a cui siedono Sel, ex Pd, Prc, Altra Europa, Act, più alcune personalità come Sergio Cofferati. Non basta aver raggiunto un accordo sulla fine della coalizione con il Pd quasi ovunque (non a Cagliari, resta aperto il caso delle primarie milanesi). La rottura avviene sulla morte dei partiti di provenienza: Sel ed ex Pd la pretendono, il Prc è contrario. L’assemblea di gennaio viene cancellata. E il documento finisce nell’archivio delle occasioni perse.

Ma la segreteria del Prc non fa una piega: mantiene la consultazione e il testo del quesito così com’è – peraltro per statuto non ha il potere di cambiarlo – facendolo accompagnare dall’avvertenza che se anche l’accordo con le altre forze politiche è saltato, quella resta la linea del partito.

E così va, secondo i dati comunicati in queste ore dal responsabile organizzazione Ezio Locatelli: 462 circoli riuniti finora, 12mila militanti coinvolti, 5185 votanti di cui 3700 sì (il 71,4 per cento) e 1175 no (il 22,7). Mancano all’appello alcune regioni ritardatarie, come Abruzzo e Sardegna, ma il dado è tratto. Il fatto che gli iscritti si siano espressi su un «processo politico» nel frattempo deragliato non preoccupa Ferrero: «L’indirizzo politico del corpo militante del partito è chiaro. Il tema del processo unitario per noi si svolge così. E consiglio di studiare bene il voto spagnolo, per capire che se Podemos avesse accettato ovunque la proposta di fronte popolare di Izquierda Unida, la sinistra spagnola ne avrebbe guadagnato ancora di più. Qui da noi chi vuole farsi un partito per i fatti suoi, se lo faccia».

Per capire quest’affermazione bisogna addentrarsi nel ginepraio della sinistra (politica) italiana, con tutte le cautele del caso: Ferrero non lo dice ma ce l’ha con chi, secondo la versione del Prc, ha fatto saltare il «tavolo» della «cosa unitaria» pretendendo lo scioglimento dei partiti: leggasi vendoliani ed ex Pd. E ce l’ha anche con i giovani che in seguito hanno promosso un nuovo appello e un nuovo appuntamento, stavolta per febbraio: di nuovo chiedendo ai partiti di «scrivere una nuova storia»: leggasi ’sciogliersi’. Per il Prc il tema non è e non può essere all’ordine del giorno, spiega il presidente del collegio dei garanti Gianluca Schiavon: «La battuta d’arresto nel processo unitario non deve farci desistere dall’obiettivo di un sinistra unita e ampia. Lo scioglimento del Prc non è a disposizione del gruppo dirigente ma, eventualmente, di una larghissima maggioranza congressuale».

Alla consultazione del Prc c’è anche chi ha detto no. E non per dire sì allo scioglimento del partito ma ’da sinistra’ per diffidenza sul percorso unitario, poi in effetti andato a sbattere. È il caso, fra gli altri, di Eleonora Forenza, giovane ricercatrice e eurodeputata dell’Altra Europa, lista che dopo un anno ha perso la capolista Barbara Spinelli, uscita dal gruppetto italiano per restare nei banchi della sinistra europea. Spiega Forenza: «Dopo che è saltato il tavolo del soggetto unitario ho chiesto che la consultazione fosse sospesa perché a quel punto il quesito non aveva più attinenza con la realtà. Non sono stata ascoltata. Per questo ho votato no». E comunque avrebbe votato no in ogni caso: «Non avrei avallato un processo che lasciava aperti troppi nodi e dubbi».