Il premier israeliano costruisce e demolisce. Mattone su mattone edifica il suo governo – nelle prossime ore presenterà la lista dei ministri e chiederà la fiducia alla Knesset – e allo stesso tempo non accenna a fermare le politiche di distruzioni delle case palestinesi, “illegali” per la legge israeliana. Gli ultimi giorni sono stati drammatici sotto questo aspetto. Susia, Araqib, Umm el Hiran, Semiramis, i nomi dei centri arabi dove sono avvenute o avverranno presto le demolizioni. A Semiramis, tra Gerusalemme e Ramallah, secondo la decisione di una corte israeliana, saranno abbattuti otto edifici, perché sarebbero stati costruiti su terre appartenenti a israeliani sin dal 1971. E coloro che vi hanno abitato finora, 107 persone in 23 appartamenti, dovranno anche pagare un’ammenda di 11 mila euro. Gli abitanti non si arrendono e ripetono che la terra dove sono stati costruiti gli edifici è stata acquistata 13 anni fa da un gruppo di palestinesi. Una multa altissima, due milioni di shekel (mezzo milione di dollari), dovranno pagare invece le famiglie beduine di al Araqib, a ridosso del deserto del Neghev, colpevoli di aver ricostruito il loro villaggio per 83 volte dopo altrettante demolizioni eseguite dalle autorità. L’espulsione attende inoltre le famiglie di Susya, un villaggio poverissimo a sud di Hebron: la Corte Suprema israeliana ha sentenzianto la legittimità della demolizione delle loro misere abitazioni.

 

Il caso che più di altri suscita sdegno tra i palestinesi è quello di Umm el Hiran, sempre nel Neghev, una delle vittime del Piano Prawer che prevede il trasferimento, anche con la forza, di 70 mila beduini con cittadinanza israeliana. Per diverso tempo avevano cullato qualche speranza i 700 abitanti di questo villaggio mai riconosciuto dalle autorità. Poi la scorsa settimana, con il giudizio di due a favore e uno contro, l’Alta Corte di Giustizia, ha convalidato gli ordini di sgombero contro Umm el-Hiran e dato il via libera alle espulsioni. Una sentenza incomprensibile perchè gli abitanti non erano accusati di essere squatter e di avere “occupato illegalmente” terre private o demaniali. Il governo militare israeliano infatti li aveva trasferiti lì nel 1956 dopo averli costretti a lasciare Khirbet Zubaleh nel 1948. Quindi non c’era nulla di illegale nella presenza degli abitanti del villaggio che il governo intende portare a Hura, per fare posto alla nuova cittadina ebraica di Hiran. Sarà distrutto anche Atir per permettere l’espansione del bosco di Yatir. In attesa di “subentrare” ai beduini ci sono decine di famiglie israeliane al momento accampate in una zona non lontana. A loro le autorità hanno provveduto subito a fornire elettricità e acqua mentre agli abitanti di Umm el-Hiran questi servizi essenziali sono stati negati per decenni. A nulla è servito il parere dissenziente della giudice Daphne Barak-Erez che aveva proposto ai suoi colleghi di sentenziare il diritto dei beduini a vivere nella nuova città di Hiran. «La sentenza – ha commentato con amarezza Amjad Iraq, l’avvocato della ong Adalah che ha seguito il caso di Umm el Hiran – ha dimostrato ancora una volta che l’Alta Corte è più interessata a proteggere le politiche e il carattere dello “Stato ebraico” di Israele che i principi della democrazia e della giustizia».

 

Il fatto che un villaggio arabo all’interno di Israele possa essere demolito con la stessa facilità di uno nei Territori Occupati, rafforza il timore tra i cittadini palestinesi d’Israele sulla possibilità di difendere i loro diritti collettivi attraverso il sistema legale. Appena qualche giorno fa erano scesi in piazza a Tel Aviv almeno duemila palestinesi d’Israele, per protestare contro la demolizione delle case “illegali” (circa 50 mila) nei villaggi a maggioranza araba in Israele e per la sempre minore disponibilità di alloggi per la minoranza araba. Adalah denuncia la scarsità di investimenti edilizi nelle zone arabe di Israele, solo il 4,6 per cento delle nuove abitazioni. Nel 2014 nelle comunità ebraiche sono stati costruiti 38.261 alloggi contro i 1.844 realizzati in quelle palestinesi.

 

Non vanno certo meglio le cose nei Territori occupati. Nel 2014, secondo i dati di Ocha, l’ufficio di coordinamento dell’Onu degli affari umanitari, quasi 1.200 palestinesi hanno visto demolite le proprie case da parte dei bulldozer: 969 in Cisgiordania e di 208 a Gerusalemme Est. E nel frattempo sono state approvate le costruzioni di altre 900 case nella colonia ebraica di Ramat Shlomo, nella zona araba occupata della città santa.