Dopo aver letto i commenti entusiastici del mondo laico e cattolico sull’ultima enciclica di papa Bergoglio, dopo aver letto l’elogio incondizionato di Andrea Ranieri sul manifesto e, soprattutto, dopo aver letto l’enciclica (a proposito,è molto bello che si venda a soli 2 euro), mi sono chiesta: è possibile avanzare qualche critica o, per lo meno, qualche timida riserva nei confronti del «Manifesto più antiliberista» degli ultimi tempi e, anche del progetto che ne sta alla radice? Mi sono detta di sì, a costo di essere impopolare o di sembrare «vetero».

Comincio da quello che a me pare un pregio e, insieme, un limite: l’aver pensato di parlare a tutti, quasi un erga omnes. Non solo ai cattolici, non solo ai cristiani, non solo ai credenti.

Se è vero che Gesù è di tutti, è anche vero che non tutti e tutte lo riconosciamo come fonte suprema di verità. Inserirlo nella «storia degli uomini» o «dell’Uomo» (come fa Bergoglio) non può non esporre Gesù a qualche «rischio».

Il secondo punto è quello per cui Bergoglio è giustamente famoso e che gli permette a pieno titolo e con indiscussa autorità di parlare alle sterminate masse dei «senza diritti», degli «invisibili», dei senza Potere, la povertà.

[do action=”quote” autore=”mons. Hamara”]«Se faccio del bene ai poveri mi dicono che sono una brava persona ma se chiedo perché ci sono i poveri mi dicono che sono comunista»[/do]

C’è un nesso profondo tra cura della natura e lotta alla povertà: lo sfruttamento della natura impoverisce gli strati più deboli della società. Un teologo della liberazione come mons. Hamara osservava: «Se faccio del bene ai poveri mi dicono che sono una brava persona ma se chiedo perché ci sono i poveri mi dicono che sono comunista».

Ecco spuntare la parola che fa paura: anche Bergoglio ha sentito qualche tempo fa, in uno dei suoi discorsi,il bisogno di “rinnegare” il comunismo: «Questo non è comunismo, è il Vangelo!».

E ora, nell’enciclica Laudato si’, come ha notato acutamente Guido Viale nel suo pur articolato elogio del testo, Bergoglio sente il bisogno di costruire un albero genealogico, una sorta di continuità, nella difesa della madre terra, non solo con i testi classici (dai «racconti biblici» ai Vangeli a San Tommaso) ma anche, e rigorosamente, con i pontefici suoi predecessori e con i deliberati delle Conferenze episcopali di tutto il mondo.

Quasi che volesse scrollarsi di dosso le accuse di nuovismo, di di rottura, di eccesso, di «estremismo».

Insomma: la Chiesa cattolica avrebbe sempre predicato l’abbraccio con la Madre Terra (e condannato i suoi sfruttatori); la condanna della violenza contro la natura (e il suo popolo umano e vivente) farebbe parte del Cristianesimo e della Chiesa cattolica.

Sappiamo che non è così, che la colonizzazione della Natura fa parte della colonizzazione umana più sfrenata, avvenuta con la complicità delle gerarchie cattoliche (si pensi all’America Latina ma anche, nel cortile di casa nostra, alle frequenze inquinanti di Radio Vaticana nel Lazio).

In questo quadro, volto al bene comune, alla cura della «casa comune» si inserisce il timore di «catastrofi derivate da crisi sociali», crisi che possono provocare «soltanto violenza e distruzione reciproca».

In sostanza, se ho capito bene, la lotta contro le disuguaglianze sociali non deve provocare proteste e violenze: eppure Gesù rovesciò con «violenza» i banchi dei mercanti nel tempio, non chiese ai mercanti «per favore, andatevene».

Qui nella costruzione irenica di un mondo francescano c’è per il papa un terreno minato, ed è tutto quello che attiene all’autodeterminazione e alla libertà femminile. E non è una questione a latere ma è una questione che attiene alla naturalizzazione dell’umano, alla concezione della «donna» creata come compagna di Adamo (Genesi), proprio perché tutti gli esseri di quel meraviglioso Eden non bastavano a superare la malinconia di un Adamo in solitudine.

Dio dette ad Adamo la facoltà di «nominare» ogni essere vivente dell’Eden (cioè la fondazione del linguaggio) e di dare un nome anche alla creatura a lui «complementare» (isha da ish). E l’embrione è un elemento della «natura» e non una parte del corpo femminile (e del suo desiderio): di qui la paradossale critica della cosiddetta «teoria del gender», finita nelle mani della destra conservatrice e delle «sentinelle in piedi», e la paradossale accusa alle femministe e alle/ai lgbtqi di distruggere la «differenza sessuale», intesa evidentemente in accezione naturalistica e/o essenzialistica! Di qui anche, ovviamente, la difesa del santuario della famiglia e dei suoi compiti nella educazione ecologica.

Tutto questo non è una parentesi o un «infortunio», normale –mi si dirà- nel testo di un papa. Tutto questo è un derivato di quella naturalizzazione dell’umano, di una scissione (segnalata ma non interrogata sino in fondo da Viale) tra natura e storia, tra uomini, donne e movimenti di liberazione, in una visione – comprensibile in Bergoglio – dell’umanità (e della natura) come il creato, frutto dell’amore di Dio e della «passione» di Gesù.

Ecco perché , io penso, questo pregevolissimo testo non può riguardare omnes, non può riguardare tutti e, certo, non tutte.

E d’altronde l’universalismo cattolico, come ogni universalismo religioso, è un universalismo maschile, come ci dicono anche, ma fino a un certo punto, le teologhe femministe.