La notizia che le concentrazioni di anidride carbonica (CO2) hanno stabilmente superato la soglia (psicologica) di 400 ppm (parti per milione) è l’occasione per fare il punto della situazione. Le concentrazioni di CO2 in epoca preindustriale – misurabili grazie alle bolle d’aria intrappolate nei ghiacci dei poli – erano di 278 ppm e tali sono stati per un lungo periodo. Questa variazione è il motivo principale (con le concentrazioni di altri gas e la deforestazione) per cui la temperatura media globale del pianeta è già cresciuta di 1°C rispetto all’era preindustriale.

Le concentrazioni di CO2 che osserviamo oggi sono le più alte da circa 1 milione di anni, come finora riscontrate dagli studi paleoclimatici. Questo cambiamento nella composizione dell’atmosfera, assieme ad altri stravolgimenti dei cicli biogeochimici naturali, ha portato a definire la presente epoca come Antropocene – la definizione si deve al Paul Crutzen, Nobel della Chimica – e cioè una nuova era geologica che è iniziata, in cui le attività dell’uomo sono diventate determinanti mettendo fine all’Olocene, era nella quale si è sviluppata la nostra specie.

Anzitutto, è bene ricordarlo, la CO2 è il più importante dei gas a effetto serra, ma non è l’unico. Vanno aggiunti altri gas che pur in concentrazioni inferiori danno un contributo ulteriore al riscaldamento globale (come il metano, il protossido d’azoto, i gas fluorurati, e altri ancora) mentre va sottratto il contributo di raffreddamento degli aereosol (particolato fine) che hanno invece un effetto opposto – riflettendo la luce del sole – di raffreddamento.

Questi contributi possono essere espressi in termini di “CO2 equivalente” e, da questo punto di vista, le concentrazioni dei gas a effetto serra sono in realtà prossime ai 450 ppm e con l’effetto di raffreddamento degli aereosol scenderemmo a circa 410 ppm equivalenti. A 430 ppm la probabilità di superare il 1,5°C sarebbe superiore al 50%, mentre la soglia dei 2°C è a 530 ppm. Abbiamo davvero pochi anni per agire seriamente: le emissioni di gas serra devono scendere e anche rapidamente.
Ciò che finora ha spinto maggiormente questa dinamica dalla rivoluzione industriale ad oggi è l’uso dei combustibili fossili che hanno alterato la dinamica del ciclo naturale del carbonio, rimettendo in circolo grandi quantità finite sottoterra in forma di carbone, petrolio e gas naturale. Le emissioni complessive dal settore della produzione di energia e cemento superano i 35 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Il motivo per cui le concentrazioni vanno aumentando è che la capacità di assorbimento della biosfera – nelle foreste, negli oceani – non arriva alla metà di quello che viene emesso. E, siccome la CO2 permane mediamente in atmosfera per tempi superiori al secolo, questa va accumulandosi producendo un aumento delle temperature. Peraltro, l’assorbimento di CO2 da parte degli oceani – il gas viene fissato dalle alghe – sta contribuendo ad acidificare i mari, fenomeno che desta preoccupazioni crescenti tra gli esperti per le conseguenze sull’ecosistema marino.

Per evitare il peggio – scenari di aumento della temperatura superiori ai 2°C – è necessaria una rapida inversione di tendenza. L’Accordo di Parigi, raggiunto dopo 25 anni di confronti sterili, ha fissato un quadro politico generale ma gli impegni volontari presi finora com’è noto non bastano. La quantità di emissioni di CO2 che ci porterebbe fuori dall’obiettivo di 2°C è stata stimata in 1000 miliardi di tonnellate dall’era preindustriale: nel 2011 già metà di questa quantità era stata emessa e per questa ragione le emissioni vanno pressoché azzerate nella seconda metà del secolo.

Vedremo se la COP 22, che si tiene a Marrakech in Marocco a partire dal 7 novembre manterrà la dinamica dell’Accordo di Parigi che sarà appena entrato in vigore, con un tempo quasi record e mai visto negli accordi ambientali internazionali. E cioè se farà progressi la revisione degli impegni volontari che deve procedere più rapida: per evitare il peggio non mancano né la tecnologia né le risorse finanziarie, quello che scarseggia infatti è il tempo. E la natura non sente ragioni politiche.

* L’autore è direttore di Greenpeace Italia