Simon Armitage, figlio dello Yorkshire nato nel 1963, è un personaggio cospicuo della vita letteraria e dei media briannici. Ha pubblicato una decina di raccolte, da Zoom (1989) a Paper Aeroplanes (2014) che è una scelta delle sue poesie.

Una prima scelta era stata tradotta nel 2001 da Luca Guerneri per «Lo Specchio» Mondadori (oltre 300 pagine). Oggi Guanda aggiorna il curriculum dell’energetico Armitage con un’antologia di testi più recenti: In cerca di vite già perse (pp. 275, euro 26,00), curata da Massimo Bocchiola, che di Armitage aveva già tradotto per Guanda Sir Gawain e il cavaliere verde, a sua volta traduzione del toccante poema arturiano in cui il cavaliere è tentato da una bella castellana.

Armitage è uno scrittore-poeta di professione, che passa dalle sue poesie originali a riscritture (anche dell’Odissea), teatro, romanzi (L’omino verde). Soprattutto lavora per la televisione, producendo programmi che rivisitano episodi più o meno tragici e crisi sociali: dall’anniversario della vittoria del 1945 a un’inchiesta sulla prostituzione (Pornography: The Musical) o sui reduci delle tante ultime guerre.

In questi lavori Armitage non cessa di essere poeta. Raccoglie informazioni su una infermiera inglese attiva in Francia nel 1915, ne parla con un nipote, poi scrive un testo in versi che nel corso del film viene recitato da uno dei protagonisti. Come nel musical non ci si stupisce che a un certo punto i personaggi si mettano a cantare, così in questi film i protagonisti reali cominciano a riassumere se stessi in poesia. Per esempio la moglie di un militare gravemente ferito alla mascella che al suo rientro riprende con lui ogni intimità ma non può toccare gola cicatrice protesi…

Questo ci dice molto sulla popolarità della poesia in Inghilterra. C’è ancora un pubblico generale che legge sia poesia che prosa, e che non trova strano che in un documentario tv siano inseriti brani poetici. Di tono naturalmente assai prosaico, ma riconoscibilmente artefatti. (Armitage spiega che usa più rime in queste occasioni per agevolare la memorizzazione dei testi.)

Nel Regno Unito il sistema d’istruzione prevede esami nella scuola secondaria (GCSE) che includono testi di autori come Armitage, Carol Ann Duffy (oggi poeta laureata di grande visibilità), Tony Harrison (uno dei modelli di Armitage, fra i primi a produrre regolarmente poesia televisiva), per non dire dell’ammirato Ted Hughes. Sicché quasi tutti gli studenti delle secondarie si imbattono nella poesia non solo come monumento ingessato ma come forma di comunicazione del contemporaneo. E infatti questi sono tutti poeti del presente, umoristici, contestatori, eterni ragazzacci.

La poesia è dunque parte della cultura comune nazionale, e appena si varca le soglie della curiosità per la pagina scritta ecco che ci si imbatte in queste voci memorabili.

In cerca di vite già perse è un bel volume che tratta Armitage come un narratore, offrendolo nudo e crudo e ben impaginato e tradotto al lettore il quale, se è capace di decifrare i prosatori coetanei di Simon (dallo scozzese Irvine Welsh, anch’egli reso pazientemente da Bocchiola, all’irlandese Roddy Doyle), non avrà difficoltà a orientarsi nei soliloqui teatrali di queste «vite già perse».

In fondo, un po’ del piacere della lettura sta nel venire a capo di una situazione descritta in presa diretta, e le note e introduzioni sono per i lettori pigri (e forse i classici). Avventuriamoci dunque nel Regno Unito del 2000…

Le prime cento pagine di In cerca di vite già perse presentano l’Armitage poeta d’occasione, accessibile anche al pubblico televisivo. Killing Time (1999) è un poema di mille versi in anticipazione del 2000 (anche Armitage o i suoi committenti condividevano l’impressione che il 2000 fosse il primo anno del nuovo millennio anziché l’ultimo del Novecento). Il titolo, qui reso Ammazzare il tempo, significa anche «Tempo di uccidere», e il tema è infatti la guerra.

Ecco qualche verso delle pagine scelte da Bocchiola: «E un presidente ben messo si presenta in video per dire / perché dobbiamo darci dentro / e in questi casi per lo più è seguito / da un primo ministro ben vestito… Chi sia stato a dire che la civiltà è profonda solo un pasto / poteva aggiungere che per quanta strada / crediamo di aver fatto, siamo ancora / a una sola parola dalla guerra. / E ogni storia ha sempre almeno due facce, / ma quando le due facce dicono che stanno cercando / di fare quello che si deve secondo il loro Dio / forse mentono entrambe…»

Armitage, poeta politico e dissidente all’interno di una società che dà spazio al contraddittorio, non ha difficoltà a trovare argomenti e non ne avrà certo nei ferali anni seguenti. Scrive un po’ degli editoriali in versi, riprendendo la lezione del tardo Auden (grande esponente della poesia funzionale alla società e ai nuovi media: anche i giornali). Ma le frasi fatte (come sopra quella sul pasto) si collocano felicemente e forniscono informazione al lettore.

In Armitage la violenza urbana ha buona parte, ma il tono è spesso sardonico. Egli ha detto che nella sua famiglia d’origine tutti avevano la battuta pronta e lui si dispiaceva di non essere all’altezza: le arguzie delle sue poesie sono le risposte che gli sarebbe piaciuto avere allora sulla punta della lingua. Per esempio: «E finalmente la settimana scorsa in un paese del West Yorkshire non è successo un bel niente. / Sul luogo hanno installato una sala operativa e collocato telecamere-spia».

Questa è ovviamente una presa in giro della mania della notizia dell’ultima ora, dei presentatori o titoli che urlano con la stessa veemenza (più da noi che in Inghilterra) questo o quel lancio.

Nel West Yorkshire, dove Armitage ancora vive, c’è un minimo di distanza. Recentemente è stato fra gli scrittori invitati a scrivere una lettera a Londra. Eccone l’inizio: «Ho ottenuto un’ingiunzione perché tu rimanga in ogni momento ad almeno due ore e dieci minuti dalla stazione di Wakefield Westgate. Mi spiace aver dovuto prendere questa misura draconiana…». Il dialetto e il senso regionale dello Yorkshire è uno dei forti di Armitage, che gli dà la sua presa diversa dalla cultura sofisticata e consumistica della capitale.

In cerca di vite già perse comprende Out of the Blue (A ciel sereno), altra opera pubblica in cui parla un inglese che lavora nelle Torri gemelle e vi arriva di buon’ora: «È boria o spocchia essere arrivati in cima, / io solo con l’America, / novanta piani su?». Poi (sono tredici poesie): «Le torri insieme. / I bracci silenziosi di un diapason / che misura la quiete. // Poi un tremito o un bum, / un tonfo vibrante o un tum. / Giuro niente di più / di un urto o un tum. / Ma una pepsi max salta dal bicchiere…».

Dopo questo annuncio d’apocalisse (che in effetti segna il primo anno del nuovo millennio), In cerca di vite già perse propone la sequenza sul 1945: «Tornare dalla guerra. / Tornare a che? // A un uomo vanno incontro / a un altro no…».

Le altre raccolte antologizzate sono Il medico di famiglia per tutti (2002), Tyrannosaurus Rex contro il Corduroy Kid (beccatevi questa) e Vedere le stelle (2010). Qui in realtà troviamo l’Armitage più personale, sfuggente, narrativo (vedi la serie dialettale di testi dal titolo ingannevolmente confortante Simpatia).

Per conoscere l’Inghilterra di oggi e cosa significhi scrivere poesia che sa insieme comunicare e negarsi a un consumo prevedibile non c’è guida migliore di Simon Armitage.