Tornano ad incontrarsi senza però che si scomodi l’inquilino di palazzo Chigi. Questa mattina alle 10,30 governo e parti sociali saranno di nuovo allo stesso tavolo a palazzo Chigi. Il 7 ottobre scorso Matteo Renzi accolse separatamente sindacati e imprese nella Sala Verde riaperta dopo anni, dedicando un’ora e 46 minuti alla sua particolare concertazione con Cgil, Cisl e Uil. Per una volta ha tenuto fede agli annunci. Oggi non ci sarà e lascerà a Giuliano Poletti il compito di discutere con loro. Molto probabilmente si tratterà di una mera presentazione dei principi – e non dei dettagli – dei decreti attuativi del Jobs act.

Da parte sindacale l’annuncio della convocazione è stato visto come il – primo – risultato della mobilitazione: quella delle sole manifestazioni itineranti per quanto riguarda la Cisl, dello sciopero generale per quanto riguarda Uil, e della piazza del 25 ottobre e dello sciopero generale per la Cgil.

Le aspettative sull’incontro sono però comuni. Né Susanna Camusso – «Ci auguriamo che l’incontro sia utile, che si possa discutere e che non sia solo l’occasione per comunicare delle scelte» – né Annamaria Furlan – «Misureremo non l’apparenza ma la sostanza dei decreti attuativi con concretezza e pragmatismo» – né Carmelo Barbagallo – «Speriamo che si possa discutere seriamente di quelle norme per migliorarle e per evitare che in questo paese ci siano lavoratori di seria A, B e C» – si fanno illusioni. Contano però sulla maggiore apertura al dialogo del ministro Poletti, sebbene siano consci che alla fine le decisioni finali le prenderà Matteo Renzi.

Il ministro del Lavoro quindi probabilmente si limiterà a confermare alle parti sociali che il consiglio dei ministri del 24 dicembre porterà come regalo di natale ai lavoratori italiani il mitico contratto a tutele crescenti. Il governo vuole a tutti costi legare il nuovo contratto agli sgravi della legge di stabilità sulle nuove assunzioni e a quelli sull’Irap nella convinzione che le imprese decidano di assumere persone all’impazzata. Il primo dei tanti decreti attuativi sarà rivolto quasi esclusivamente a questo.

Il quadro però è molto più complesso. Ed innanzitutto riguarda i tempi di entrata in vigore del nuovo contratto. Su ogni decreto attuativo devono pronunciarsi le commissioni lavoro di Camera e Senato, il cui giudizio – non vincolante – è comunque obbligatorio e riguarda il rispetto – o meno – della delega che il parlamento aveva affidato al governo. Lo stesso esecutivo deve prendere atto del testo ed eventualmente modificarlo, ma per forza serve un altro consiglio dei ministri per approvare il testo definitivo. È chiaro dunque che i tempi di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e quindi di entrata in vigore del provvedimento non rispetteranno la scadenza del primo gennaio, giorno in cui gli sgravi sulle assunzioni diventeranno esecutive.

Sul merito invece il rischio – denunciato nei giorni scorsi da Guglielmo Loy della Uil – è che le imprese sfruttino gli sgravi Irap e quelli sulle assunzioni per assumere solo a tempo determinato – col decreto Poletti possono farlo fino a tre anni – per poi licenziare, avendo ottenuto sgravi maggiori rispetto al costo dell’indennizzo – le indiscrezioni parlano di una mensilità e mezzo per ogni anno di lavoro. Per questo lo stesso Loy ieri ha proposto che «per rendere meno conveniente licenziare, i decreti legislativi prevedano, in caso di licenziamento illegittimo, che al lavoratore, oltre l’indennizzo, debba essere riconosciuto anche l’ammontare degli sgravi contributivi e fiscali goduti dall’azienda nel corso degli anni per quel lavoratore».

I testi delle deleghe non sono comunque ancora definiti. Ed è difficile che il 24 dicembre il governo unisca alla delega sul contratto a tutele crescenti anche un provvedimento sull’estensione dell’Aspi o sull’abrogazione dei contratti co.co.pro monocommittenti, come vorrebbe Renzi. I nodi da sciogliere sono infatti ancora molti. L’intenzione sarebbe comunque quella di mantenere i co.co.co nel settore pubblico mentre per i 700mila co.co.pro nel settore privato verrà abolita la monocommittenza col rischio però che invece di un contratto a tempo determinato – come si augura il governo – questi lavoratori siano costretti ad aprirsi una partita Iva. Grande incertezza anche sulla riforma degli ammortizzatori sociali: la cassa in deroga dovrebbe rimanere almeno per il 2015, mentre l’estensione dell’Aspi ai precari è ancora in alto mare. Ieri poi le Regioni hanno contestato l’idea di ridare la competenza allo Stato in fatto di lavoro – prevista da un emendamento votato anche da Forza Italia alla riforma costituzionale – tema legato poi alla nascita dell’Agenzia nazionale unica, prevista nel Jobs act.

Sul fronte del lavoro ieri dal parlamento sono arrivate altre brutte notizie. Nella legge di stabilità il governo ha deciso di ridurre dal 70 al 60 per cento la copertura mensile dei contratti di solidarietà. «La motivazione del sottosegretario Morando è paradossale – denuncia Giorgio Airaudo di Sel – dice che così la estenderanno a più lavoratori. Ma è esattamente il contrario: così favoriranno l’uso della cassa integrazione che volevano ridurre»