Gli ombrelli rossi con la scritta “Stavolta No” restano nelle fodere, le gocce di pioggia cadono su un’affollata piazza Ognissanti solo alla fine della manifestazione in cui Sinistra italiana avvia la sua campagna referendaria. Con le assenze dei sindaci arancioni – Pisapia, Zedda, Doria – e con un Nichi Vendola in gran forma: “Ci tenevo a lasciare la mia vita privata per un momento, oggi, perché mi sento di dire No nel nome della verità. Per una Carta che è bellissima, e che non è ancora stata attuata”. Lo saluta un’ovazione. Gli applausi di una piazza di militanti pronti a volantinare, organizzare iniziative, parlare con i tanti indecisi e convincerli, prima di tutto, a votare: “Dobbiamo farci carico noi dell’abbandono del voto – segnala sul punto Sergio Cofferati – e spiegare che bisogna andare. Votare secondo coscienza ma votare. Per evitare che, come successo in Emilia Romagna, voti solo il 37% e loro poi dicano: ‘che importa, tanto abbiamo vinto noi’. Poi, per la nostra coerenza, si vota No”.

Anche il segretario Cgil dei tre milioni al Circo Massimo viene applaudito a scena aperta. Effetto di una antica sintonia con il mondo del lavoro, che lo porta a sottoporsi a selfie su sulfie. Chiesti dai compagni vecchi e nuovi del sindacato, ma anche da ragazzi che nel 2003 andavano all’asilo. Fotografie di una manifestazione bella e piacevole nonostante la durezza dello scontro politico. E il rischio, sempre presente, di una stanca liturgia. Un pericolo sventato dalla richiesta di sintesi – sei minuti a testa – e dall’esperienza tv di Luca Telese, conduttore pronto anche a ricordare particolari che poi si dimenticano. Dalla fiducia sull’italicum (“come solo sulla legge Acerbo e la legge truffa nel 1953”), alla sostituzione di Speranza e Bersani dai loro ruoli parlamentari per l’approvazione della riforma e dello stesso italicum.

Fra la folla, e dietro le quinte, si discute del confronto televisivo di poche ore prima fra Renzi e Zagrebelsky. Non ci si fanno illusioni: “Lui sa stare in tv e sugli slogan è quasi imbattibile”. Allora ben venga Lorenza Carlassare: “Questa riforma è basata solo su menzogne. La più pesante, quella che offende, è quando dicono che non si tocca la prima parte della Costituzione. Non è vero, a partire dall’articolo 1 quando dice che ‘la sovranità appartiene al popolo’. Invece si cercano di eliminare i canali di trasmissione, di non far arrivare le voci dissonanti. Ricordiamocelo: se non c’erano Landini e la Corte Costituzionale, la Fiom non aveva più la possibilità di far sentire la sua voce in fabbrica”.

Salgono e scendono dal palco Paolo Caretti e il presidente fiorentino dell’Anpi, Ubaldo Nannucci. Sandra Bonsanti e Guido Calvi, Tommaso Grassi e Tommaso Fattori, il sindaco sestese Lorenzo Falchi e Curzio Maltese, cui si deve un efficace cammeo di Matteo Renzi: “La legge elettorale? Sei mesi fa era la più bella del mondo, ha anche cacciato il suo capogruppo alla Camera per farla approvare, e ora invece dice che non gli piace. E’ l’eterno trasformismo della politica italiana. Il peggiore: perlomeno Berlusconi sbagliava in proprio, lui fa quello che gli dicono di fare i burattinai”. Burattinai di gran potere, ricorderanno poi Nicola Fratoianni e Carlo Freccero, che regala un evergreen: “L’attuale disegno di riforma è stato steso sotto le direttive della banca Jp Morgan, che ha definito ‘comuniste’ le costituzioni dei paesi del sud Europa”. Poi Marchionne e Confindustria: “Da lavoratrice – ricorda una giovane delegata Fiom – vi ricordo che Confindustria si è schierata a favore della riforma. Dicendo che se vincesse il No si aprirebbe una fase apocalittica… Ecco, se si è indecisi da che parte stare, è molto più facile capire da che parte non stare”.

Da che parte stare lo sanno bene i giovanissimi della Rete degli studenti medi, gli universitari dell’Udu e gli Studenti di sinistra fiorentini. Mentre Pippo Civati attacca: “La Costituzione non è merce di scambio, la nostra ditta è la Repubblica Italiana”. La partita non è facile: “Nella storia di questo paese – segnala Arturo Scotto – non è mai accaduto che le ambasciate fossero trasformate in comitati elettorali”. Ma si può vincere, a dirlo è uno che se ne intende: “Diciamo No perché non ci piacciono le guerre e l’ingiustizia sociale – ricorda Renzo Ulivieri – noi siamo ancora quelli che vogliono cambiare il mondo. E la nostra Costituzione, nei suoi valori fondanti, ci guida. Il vero problema è quello di attuarla”.