La «coalizione sociale» che ci propone Landini, a nome della Fiom, è l’occasione storica che ci manca per far rinascere la sinistra in Italia. Coglierla è un bisogno ed un dovere. Giunge nel momento in cui l’erede infedele del Pci esibisce la mutazione genetica che ha subìto trasformandosi nell’opposto esatto del suo dante causa. E ubbidisce al suo leader che, rottamando i valori della Resistenza, in luogo della democrazia costituzionale che i comunisti italiani contribuirono fortemente e incisivamente a costruire, sta imponendo a ritmi incalzanti un regime autoritario.

È lo stesso leader che demolisce lo stato sociale, che comprime, distorce, disconosce uno ad uno i diritti dei lavoratori, di quella classe la cui rappresentanza costituiva la ragion d’essere del Pci.
Con l’uomo solo al comando, che le cosiddette riforme istituzionali, quella costituzionale e quella elettorale, da sole ed insieme, mirano a realizzare, tutte le istituzioni della Repubblica degraderanno a strumenti del capo del governo, diventando tutte esecutive del volere dell’esecutivo che, a sua volta, si porrà come esecutivo della ideologia dominante, quella del capitalismo neoliberista, tradotta nelle norme dei Trattati internazionali, tra i quali Trattati primeggia quello sull’Unione europea. Primeggia nel porre a fondamento dell’Unione, per la dinamica dell’ordinamento e come suo obiettivo, l’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Quella specifica economia di mercato che sta distruggendo principi e diritti, quello di eguaglianza, innanzitutto, quelli sociali soprattutto.

Il cosi detto Jobs Act si pone, al termine della discesa degradante degli esecutivi, come esemplare strumento di questa distruzione di civiltà sociale e politica. Incrementa il potere datoriale al massimo possibile, con la precarizzazione sostanziale del rapporto di lavoro, mascherata da «contratto a tutele crescenti» e…irraggiungibili. La subordinazione umana nel rapporto di lavoro salariale raggiunge così il suo apice. L’articolo 3 della Costituzione impone alla Repubblica il «compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese». Non dovrebbe sforzarsi chi ne volesse formulare la negazione assoluta. Col Jobs Act vi ha già provveduto Renzi.

È contro questo attacco mortale alle istituzioni della democrazia, all’eguaglianza e alla dignità dei lavoratori, alla civiltà dei rapporti umani che ci si deve mobilitare. La «coalizione sociale» potrebbe diventarne lo strumento aggregante, perché opererebbe alla base del sistema complessivo, partirebbe dal vissuto delle donne e degli uomini schiacciato dalla crisi attuale del capitalismo neoliberista. Colmerebbe un vuoto agghiacciante, risponderebbe ad una esigenza impellente, enorme per numero di chi la sente, profonda per i bisogni che la sollecitano e che dal contingente si proiettano nel futuro umano.

Il come è decisivo. Dire che il campo della «coalizione» da inventare è quello della base dell’ordinamento, è come dire che sì, essa deve costruire innanzitutto solidarietà attive, unità delle differenze a cominciare da quelle tra occupati e precari e tra tutti gli oppressi dal neoliberismo e dalla compressione della rappresentanza nelle fabbriche, nei comuni, in tutte le articolazioni della società. Deve disegnare il senso dei destini di ciascuno e di tutti. Deve operare per aggregare ed insieme per usare tutti gli strumenti della democrazia di base e di inventarne di nuovi. Ce lo insegna la storia. Furono le società operaie di mutuo soccorso le prime istituzioni del movimento operaio, e le leghe le antesignane dei sindacati. Si collegarono ed evolsero con non pochi sforzi, in non pochi anni.

Noi partiremmo da una situazione di gran lunga migliore. È quella che poggia su un movimento di massa già strutturato, organizzato, forte dell’esperienza delle lotte gloriose condotte dalla Fiom. Che, per di più, è parte autonoma, anche critica, avanzata ma integrante della Cgil, la grande maestra della lotta del lavoro, l’unica istituzione della sinistra e del movimento operaio che in 110 dalla sua fondazione non ha subito scissioni, ed è perciò modello di pluralismo quanto ai mezzi e di coesione quanto ai fini. La «coalizione sociale», partendo dalla Fiom, non può non incontrare la Cgil. Non può neanche non incontrare, avere, comprendere la «coalizione politica». Il programma proposto da Airaudo e Marcon, su questo giornale il 24 febbraio scorso, è ampiamente condivisibile e, credo che, in questa fase, può benissimo unire l’una e l’altra coalizione nell’esercizio dei rispettivi compiti.

Credo anche, ed auspico che il ruolo specifico della «coalizione sociale» sia quello alto, arduo e imperioso, di ricostruire la classe, la «classe per sé». È la premessa fondamentale. Da ricostruire dove si deve, nelle lotte, agendo in esse e riflettendo su di esse, e, con la classe, la coscienza di classe del XXI secolo, qui in Italia, dove siamo e possiamo.