«Impraticabilità di campo», è il sottotitolo di questo libro di Goffredo Bettini: La difficile stagione della sinistra (Ponte Sisto, 2016, pp. 325). C’è un punto interrogativo, nel sottotitolo. Lo possiamo togliere, almeno provvisoriamente, a leggere i risultati, primo e secondo turno, delle ultime elezioni amministrative.

«Campo» è un concetto che sta molto a cuore all’ultimo Bettini. Andrebbe definito così, organizzato così, a suo dire, quello che è lo spazio, sociale e politico, di una sinistra, oggi.

Campo plurale e unitario, coeso ed esteso, mille fiori, mi pare di aver capito, pur in un partito a vocazione maggioritaria.

Il libro vede un dialogo serrato, a volte brillante, a volte pensoso, con Carmine Fotia. Dodici capitoletti, che vanno da Disciplina, Potere, Nostalgia ad una approfondita considerazione su Europa. In mezzo, una lettura, molto personale, dell’attuale fase politica e una lunga digressione sulle vicende del Pd romano: su queste ultime mi permetterò di sorvolare.

Bettini, come tutti sanno, è stato per molto tempo dominus, nell’ambiente politico e culturale della capitale, segretario della Federazione romana del Pci, da giovanissimo membro della Direzione del partito, protagonista nelle successive esperienze, Pds, e Ds, ai vertici del Pd, nel suo incipit veltroniano. Dal chiudersi di quella breve stagione, ha tratto la scelta di uno splendido isolamento. Credo gli abbia fatto bene. I suoi pensieri adesso volano più liberi, rompono gli schemi angusti delle emergenze quotidiane, con i loro riti e linguaggi freddi e consueti, nutre la passione politica con una bella cultura: nel libro, trovate citazioni da Baudelaire a Leopardi, da Jünger a Heidegger, da Severino a Canetti e altri, di questo calibro. L’autore possiede del resto una intelligenza politica lucida, con cui ho trovato spesso il piacere di confrontarmi. Ma chiudiamo con gli elogi e veniamo al merito.

«La politica, in particolare il Pci, mi ha formato alla disciplina, alla responsabilità verso se stessi e verso gli altri», scrive Bettini. Disciplina come autodisciplina, qualcosa che non viene dall’alto ma da dentro, non imposta ma scelta. Coincide con la vera libertà. Libertà anzitutto dal potere: che è come una droga. «Produce nel cervello sostanze assuefacenti. Ti si appiccica facilmente addosso e dopo non ne puoi più fare a meno». La politica per il potere ha sostituito il potere per la politica: da mezzo è diventato fine. Tra l’altro, piccolo ma consistente potere, locale e personale. «È cresciuta una generazione di quadri abituata a navigare, a barcamenarsi, la cui parte più di talento occupa postazioni importanti nelle città, nelle regioni o nel governo nazionale. Prevalgono la prudenza, il silenzio, l’ambiguità, la manovra di aggiramento, il segnale, il far intendere…».

Giudizi troppo severi? Non saprei. Detti comunque da uno che ha visto questo spettacolo intorno a sé. «Non è che sono diventati tutti cattivi. Nessuno è totalmente bianco o nero. La verità è che ci adatta dentro le forme che si trovano e si accettano». Le forme, appunto, ancor prima dei programmi. Non è in questi ultimi il difetto, nemmeno nelle loro realizzazioni, sbagliate o mancate che siano. «Il passaggio tra il Novecento e il nuovo millennio ha consumato le nostre strutture e categorie residuali: le alleanze, i blocchi storici e sociali e la loro composizione e scomposizione, l’unità della nazione, ’gli italiani’, le coalizioni, i partiti pesanti e leggeri, le lotte di massa e la conquista delle casematte». Nostalgia per questo mondo perduto. Abbiamo passato gli ultimi decenni a cantare le magnifiche sorti e progressive dei nuovi inizi. E invece è dalla presa d’atto di questa tragedia che nuovi pensieri e nuove pratiche dovrebbero ripartire, non per riformare ma per rivoluzionare, le attuali “forme” della politica: «Nelle attuali ’forme’ non c ‘è alcun recupero della devastazione culturale e antropologica che è in atto».

Stiamo parlando, ve ne sarete accorti, anche dei numeri che ci sono piovuti addosso, come un temporale d’estate, la notte di domenica. Mi sento di sottoscrivere queste parole di Bettini, cariche di passione politica realistica: «Sai quanto ho amato Roma. L’ho descritta in un mio libro: scanzonata e generosa, disincantata e partecipe, ferita dal tempo ma fortemente vitale. Oggi è insopportabile, stressata e cattiva: un grande pachiderma che si muove per colpire alla cieca ».

Aggiungo io. Il dramma, da cui occorre trovare il modo di uscire al più presto, con tutti i mezzi, è la terribile corrispondenza che si crea tra il degrado nelle forme della politica e il degrado nelle forme della rivolta contro la politica.

È fatale. Quando il potere si fa oligarchico, la contestazione del potere si fa plebea. E non è solo Roma, nemmeno solo Italia, è Occidente, Europa e, vediamo, Stati Uniti.

Ho fatto parlare solo il libro. Penso che così bisogna fare quando di un libro si parla. Nella conversazione con Fotia, si incontrano poi tanti altri temi. Ma il punto di problema è nel titolo. Sì, è proprio difficile questa stagione della sinistra. È un passo avanti che Bettini dica sinistra più che centrosinistra: quindi un campo che, in quanto tale, in quanto forza di sinistra, ambisce a conquistare un consenso maggioritario. È una sfida. Le difficoltà servono, non per fermarsi, o per tornare indietro, ma per rilanciare idee e pratiche in avanti. Mi pare questo il senso propositivo del libro. Il passaggio stretto consiglia forse una scelta netta. Non è vero che sinistra esiste in natura. Esiste nella storia. E cambia di forma, di forza, di conflitti e di senso nel corso della storia.

Allora, la devi ogni volta reinventare: è accaduto che andava ricostruita, è accaduto che andava costruita. Credo che le due esigenze si presentino oggi insieme. Ricostruire vuol dire ristrutturare le fondamenta date dalle grandi gloriose esperienze del passato. Costruire vuol dire progettare un disegno nuovo dell’edificio, moderno ma solido, affascinante e funzionante. Fuor di metafora, vecchia e nuova sinistra è bene che lavorino, sodo, in unico cantiere: a rendere praticabile il campo.