Quel ponte invisibile che collega Francia, Belgio e Quebec, favorendo scambi commerciali, culturali e artistici, è diventato quasi tangibile nell’ultima edizione del Festival TransAmériques (FTA), conclusasi nei giorni scorsi a Montréal. Molti degli spettacoli della manifestazione una delle più importanti per il teatro e la danza nel Nord America arrivavano da Avignone, Parigi o Bruxelles, o da lì erano transitati. E chissà se questo cordone ombelicale ancora forte nella ex colonia si incrinerà con la prossima edizione, visto che, dopo quasi trent’anni di servizio, la fondatrice e direttrice artistica Marie-Hélène Falcon ha lasciato il suo posto a Martin Faucher, già consulente del festival.

E se dice di riconoscersi nell’85% delle scelte delle ultime edizioni, Faucher ha comunque voglia di rilanciare, sopratutto sulla questione geografica e linguistica. «Vorrei coinvolgere maggiormente il pubblico anglofono», ci spiega, pensando non solo a Stati uniti e buona parte del Canada, ma anche a quei cittadini di Montréal che parlano la lingua di Shakespeare. Magari sceglierà di invitare qualche compagnia dal mondo anglosassone, visto che quest’anno quasi tutti gli spettacoli di teatro in programma (dieci su dodici) erano in francese, e dell’intero cartellone solo due eventi sbarcavano dal mondo anglofono. Vero è che da Vancouver sarebbe dovuto arrivare il grande evento inaugurale, Helen Lawrence, di Stan Douglas, che però è stato annullato per problemi di accordi fra la produzione e il potente sindacato degli attori.

Fra le produzioni del festival, è andato in scena il kolossal di oltre sette ore su L’histoire revélée du Canada Français, 1608-1998, una trilogia avviata nel 2012 dalla storica compagnia del Nouveau Théâtre Expérimental che ha festeggiato i suoi 35 anni nel corso del festival. Gli attuali direttori – il drammaturgo Alexis Martin e il regista Daniel Brière sembrano muoversi sulla falsariga del Théâtre du Soleil per estetica e filosofia. Si appellano alla creazione collettiva e presentano un lavoro epico che abbraccia tre secoli di storia, con infiniti personaggi e continui cambi di costume e di lingua. Se in certi momenti la narrazione si fa didascalica, non mancano scene dove gli artisti si distaccano dalla storiografia per lanciarsi in canti corali o in riletture dissacranti di personaggi mitici, come il fondatore del Canada francese Samuel De Champlain.

Un’altra trilogia è stata proposta da Mani Soleymanlou con il debutto di Trois, presentato insieme ai due capitoli precedenti: Un – già trionfato in Canada e a Parigi – e Deux. Al centro c’è l’esperienza biografica dell’artista. Nato a Tehran ma trasferitosi subito a Parigi diventa per gli amici «l’iraniano», ma quando i genitori traslocano a Toronto viene chiamato «il piccolo francese». I successivi trasferimenti a Ottawa e a Montréal completeranno il suo sradicamento. Lo spettacolo parte da qui, con un monologo fresco e ritmato (Un), a cui segue una progressiva moltiplicazione delle voci. In Deux, l’artista è in scena con Emmanuel Schwartz, di origini israeliane, mentre in Trois è affiancato da cinquanta giovani attori provenienti da diversi paesi. Anche se l’intensità del primo capitolo va progressivamente scemando non si aggiunge molto alla riflessione iniziale l’intera trilogia è costellata da scene esilaranti, abilmente scritte e dirette da Soleymanlou.

Per la danza non è mancato Daniel Léveillé, fra i più celebri coreografi della città, con il suo premiatissimo Solitudes Solo, una successione di assoli estremamente complessi tecnicamente sulle musiche di Bach.
Fra gli spettacoli internazionali, alcuni arrivavano da Avignone. Eccellente Germinal, della compagnia franco-belga L’Amicale de production, che costruisce una riflessione sferzante su temi come il progresso, la religione o la morte, giocando con comuni dispositivi di scena, come microfoni e mixer.

Da Avignone arrivava anche Les particules élémentaires, l’adattamento del romanzo di Michel Houellebecq ben scritto e diretto dal venticinquenne Julien Gosselin, con una brillante alternanza di parti narrative e scene recitate. E sempre dal festival francese è sbarcato l’emozionante omaggio di balli tradizionali turchi di Christian Rizzo: D’après une histoire vraie.

Non è poi mancata l’irriverente artista spagnola Angélica Liddel che con Todo el cielo sobre la tierra torna a parlare della sua paura di invecchiare e del suo disprezzo per ogni morale sociale. E poi ancora molti nomi c ome Meg Stuart, Trajah Harrell,Marcelo Evelin, Matijia Ferlin o Milo Rau. Una vetrina franco-centrica ma decisamente di buon livello, che dà appuntamento per il prossimo anno dal 21 maggio al 6 giugno 2015 per capire se Faucher avrà concretizzato i suoi sogni.