L’aula non aveva ancora finito di applaudire l’eroica prolusione con cui il figlio segreto (nel senso che fino a ieri non lo conosceva nessuno) di Tony Benn, Hilary, metteva il suggello del Labour a una maggioranza che Cameron non si sognava neppure, che già i Tornado scaldavano i motori. Mercoledì sera, con 397 sì contro 223, la camera dei Comuni ha dato la sua robusta approvazione all’intervento, non senza nel frattempo distruggere l’unità parlamentare dei laburisti, cui Corbyn aveva dovuto concedere la libertà di voto secondo coscienza. Con un discorso roboante che pigramente accostava Daesh al fascismo di Franco, Mussolini e Hitler e il cui scopo era scippare a Cameron la leadership interventista e a Corbyn quella del partito, il ministro-ombra agli Esteri Benn è finalmente uscito dall’ombra.

Per Corbyn si tratta di una batosta già scritta: grazie anche alla romanza bellicista cantata da Benn, che enfatizza la spaccatura al cuore parlamentare del Labour e deve aver convinto vari indecisi dell’ultimo momento, sono stati in 66 dei suoi ad autorizzare gli attacchi aerei, contro 152 contrari. Più contenuto il danno nel governo-ombra, dove i no sono stati 17 contro gli 11 sì. Anche per questo Cameron deve aver ridotto da due a uno i giorni da dedicare al dibattito: i sondaggi indicano che, col passare dei giorni, l’umore del paese stava spostandosi dall’appoggio incondizionato del dopo-Parigi a una sempre più diffusa esitazione.

I primi obiettivi militari, raffinerie del Daesh in territorio siriano, sono già stati colpiti all’alba di giovedì: le incursioni della Raf sono partite dalla base di Akrotiri, a Cipro, dove al momento ci sono solo otto velivoli, due Tornado e sei Typhoon, ma altri ne stanno arrivando. Carichi di missili che dovrebbero fare la differenza, secondo Cameron e il suo ministro della difesa Michael Fallon. Sono i gioielli dell’arsenale nazionale, missili che nemmeno quelli americani possono vantare: i Brimstone, 140mila euro l’uno, che vedono e seguono il bersaglio come una muta di segugi. Per limitare le vittime civili, di cui i russi non si curano più di tanto.

«Bisogna colpirli prima che colpiscano noi, tanto siamo già un obiettivo» è stato il mantra dei Tory per tutto il dibattito. E così inizia la terza guerra a distanza di Cameron, la quarta della Gran Bretagna dal 2000. Nessuno sa quando finirà naturalmente, c’è chi parla di almeno tre anni di campagna, ma non è il momento di porsi simili domande disfattiste, minano il morale dei piloti. A un certo punto bisognerà passare a vie di fatto sul territorio, e per questo Cameron conta sui 70mila combattenti «moderati» – ricorrente parola feticcio – che in realtà sono frammentati in gruppi con agende spesso in conflitto.

Proprio l’effettiva esistenza e affidabilità di questi combattenti era alla base dei dubbi di chi era indeciso o contrario all’intervento, una questione direttamente legata anche alle prospettive di chi andrà a riempire il vuoto lasciato dallo stato sedicente islamico. Per ora, l’obiettivo minimo è quello di «degradare» le capacità militari di Daesh, anche perché Cameron non può parlare di uno straccio di linea. Per citare letteralmente il Guardian, che ha chiesto al neopensionato generale americano Mike Flynn, ex capo della Defense Intelligence Agency circa l’esistenza di un piano strategico: «No, no. Non ne abbiamo affatto. Tutto è incoerente e frammentario».

Il massacro di Parigi ha finalmente dato al primo ministro quello che voleva da mesi: il mandato parlamentare ai bombardamenti che solo un’aula bipartisan poteva assicurargli. Ora il premier può dire di non esser stato da meno dei suoi alleati Hollande, Erdogan e Obama, le cui rispettive aviazioni rischiano di collidere con quelle iraniane, russe e di altre democrazie liberali in un’operazione militare che è quasi eufemistico definire incerta. Di aver ribadito il ruolo militare e strategico, ancor prima che diplomatico, di una Gran Bretagna che proprio non vuole imparare dagli errori recenti in Iraq, Afghanistan e Libia. E di essere naturalmente al fianco di Parigi nella guerra contro il «culto della morte».

Ora si teme un redde rationem laburista interno, con i centristi che denunciano una caccia alle streghe: Ken Livingstone, che ultimamente ha fatto delle uscite ben poco tattiche, ha dichiarato il suo sostegno alla de-selezione di chi ha votato per l’intervento. Dal canto suo, Corbyn ha condannato i cyber-insulti ricevuti da alcuni deputati favorevoli all’intervento.