Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, con un discorso alle Camere, ha trasferito il potere legislativo al parlamento. Il dispiegamento di sicurezza alle porte delle Camere, mentre l’ex generale parlava, era senza precedenti. Il nuovo presidente egiziano è tornato ad essere intoccabile e irraggiungibile, a vivere nascosto e a non partecipare mai ad incontri pubblici per timore di poter essere ucciso. L’Egitto si è sirianizzato per cui al Cairo sembra di vivere a Damasco prima del 2011, in un clima di controllo e sospetto irrazionale.

L’Assemblea del Popolo si è insediata lo scorso 11 gennaio dopo le elezioni che si sono svolte tra novembre e dicembre scorso. Si è registrata una bassissima affluenza alle urne e la lista che ha ottenuto la quasi totalità dei seggi è «Per l’amore dell’Egitto».
Il cartello elettorale che ha unito uomini di Mubarak, militari e altri candidati pro-Sisi, permetterà all’ex generale un controllo totale sulle attività del parlamento. Al-Sisi non ha dovuto neppure ricorrere alla formazione di un partito unico, stile Partito nazionale democratico (Pnd) dell’ex presidente Hosni Mubarak, il regime militare e il populismo personalistico si fondono in lui perfettamente insieme a repressione e capitalismo di stato.

Il parlamento ha già approvato tutti i decreti presidenziali senza emendamenti, approvati nei tre anni precedenti in cui il paese ha vissuto senza un parlamento. Solo la legge sul pubblico impiego non è stata approvata senza cambiamenti. La stessa norma è stata duramente contestata dai dipendenti pubblici.

Le Camere sono sempre state usate in Egitto come un veicolo di cooptazione dei vari gruppi politici, estromessi dall’attività partitica ufficiale, come è avvenuto per anni con i Fratelli musulmani.

Non è chiaro se questo potrà accadere anche in questa fase di completo azzeramento di tutte le libertà democratiche. Di sicuro la repressione di islamisti e sinistra è implacabile. Le ong, gli ospedali e le scuole della Fratellanza sono state chiuse o sono sotto lo stretto controllo del regime. Le centinaia di condanne a morte contro i leader della Fratellanza sono la garanzia consistente che non è previsto a breve un discorso politico inclusivo o di unità nazionale che permetta agli islamisti di tornare a respirare almeno nelle loro attività informali.

La sinistra poi è completamente impedita nelle sue attività di mobilitazione di base.
La legge anti-proteste blocca manifestazioni di contestazione. Ma ancora più grave, tutti i più importanti attivisti di opposizione sono ormai in prigione senza possibilità di appello, senza certezza della pena, in una dittatura alla sudamericana dove sparizioni forzate e torture sono all’ordine del giorno.

Con questo discorso si compie il progetto vendicativo degli uomini che tra i militari sono vicini ad al-Sisi. La famosa roadmap che era stata annunciata subito dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013: il giorno in cui è iniziato l’incubo e il primo presidente eletto della storia egiziana, Mohamed Morsi, è stato arrestato dalla guardia presidenziale mentre per strada si era svolta una grande manifestazione, organizzata dai giovani, attivati dai militari: i Tamarrod (ribelli).

«Il popolo si aspetta che vengano realizzate le loro speranze. Il popolo egiziano dichiara al mondo che ha stabilito le basi per la democrazia», sono state le parole di al-Sisi. Ovviamente non esiste democrazia in Egitto e neppure forse era questo il primo obiettivo dei manifestanti nel 2011.

La prima richiesta era la fine delle pratiche fasciste della polizia. Questo non è avvenuto come dimostrano le migliaia di prigionieri politici e le centinaia di desaparecidos. «Nessuno potrà impedire il nostro progresso», ha aggiunto al-Sisi parlando di scuola e sanità.
Fin qui il suo populismo è andato in direzione completamente opposta. Ha significato liberismo spinto e privatizzazioni incontrollate: solo tagli alla spesa pubblica per ottenere il prestito del Fondo monetario internazionale (Fmi). Questo nulla ha a che fare con le richieste di giustizia sociale che venivano dalla piazza.

E così sono tornati ad incrociare le braccia molti dei comparti in crisi. Dopo i dipendenti pubblici, è ora il turno dei medici. Almeno 4mila dottori hanno partecipato alla riunione al Sindacato dei medici per coordinare le azioni per la violenza della polizia contro lo staff medico. Ahmed Gamaleddin, ha confermato che la partecipazione alla riunione è stata la più grande di sempre. Migliaia di medici hanno chiesto le dimissioni del ministro della Sanità.

Centinaia di deputati e politici, incluso l’avvocato, Haitham al-Hariri, ha espresso solidarietà con i medici in sciopero. Molti hanno sostenuto la mobilitazione di massa attraverso i social network condannando le condizioni di detenzione nella prigione di Matareya e gli assalti ai medici.